Dopo il taglio di S&P reggono i mercati. Zamagni: subito agenzia di rating europea
"Sono decisioni che possono destabilizzare": il ministro italiano dell’Economia, Fabrizio
Saccomanni, se la prende con le agenzie di rating dopo il declassamento subito
martedì dall’Italia da parte di Standard and Poor’s. Bruxelles non commenta il giudizio
di S&P, ma conferma la fiducia nei confronti dell’impegno italiano per la crescita.
Intanto i mercati, nonostante il declassamento, a dispetto dei timori, non sono crollati.
Francesca Sabatinelli ha intervistato l’economista Stefano Zamagni:
R. – Il rating
di Standard & Poor's, così come quello delle altre agenzie di valutazione, è basato
sulle tendenze di medio e lungo termine: guardano i dati strutturali dell’economia
di un Paese e arrivano a concludere in un modo o nell’altro. I mercati, invece, seguono
un’ottica di breve termine: agli speculatori interessa l’andamento di breve termine
dei valori di Borsa o dei titoli del debito pubblico e così via. Ecco perché non si
è verificato lo scossone. In conclusione, il giudizio di Standard & Poor's dice: tu,
Italia, guardando al medio e lungo termine, non riesci a superare la soglia critica,
perché nonostante tutto non sei ancora riuscita a fare quelle tre, quattro riforme
radicali di cui l’economia ha bisogno. I mercati, invece, guardano al breve termine
e siccome ora la febbre speculativa, non solo sull’Italia, ma anche sugli altri Paesi,
ha subìto una battuta d’arresto – perché la Bce, capitanata dal nostro Mario Draghi,
sta facendo bene – ciò ha ulteriormente raffreddato il costo del denaro. Ecco allora
perché la speculazione reagisce in questa maniera.
D. – E allora professore,
prendendo in prestito le parole del ministro Saccomanni, questa decisione di Standard
& Poor's, non adeguatamente sostenuta da analisi condivise, cosa potrebbe destabilizzare?
R.
– Quello che Saccomanni vuol significare è quello che ormai sanno tutti: queste agenzie
sono agenzie private: nessuno può interferire né obbligarle ad adottare un modello
econometrico piuttosto che un altro. Questi giudizi di rating vengono basati
su certi modelli, che si chiamano con nomi vari, ma che sono modelli di econometria.
Ora, noi sappiamo che di modelli di econometria non ce n’è uno, ma ce ne sono tanti
e, a seconda del modello che si usa, si hanno risultati diversi. Il punto è che occorrerebbe
che in Europa si arrivasse ad avere una agenzia di valutazione. Se però i vari Saccomanni,
così come gli altri prima di lui e coloro che verranno dopo di lui, continuano a lamentarsi
e a non fare nulla in sede europea, è ovvio che non potremo risolvere queste difficoltà,
perché queste agenzie non sono europee, sono americane... Ma è possibile che un continente
come l’Europa non sia in grado di dare vita a una agenzia europea che, in quanto tale,
avrebbe una conoscenza dei cosiddetti dati strutturali, dei fondamentali, migliore
di chi opera su altri territori e che – diciamolo pure – ha altri interessi? E’ ovvio
che queste agenzie private americane se devono dare un parere, dicono che la situazione
americana è un bicchiere mezzo pieno e quella europea è un bicchiere mezzo vuoto.
Ci vuole il pluralismo. Non possiamo fidarci di quel che dice una centrale di potere
economico o un centro studi, anche qualora questo centro studi fosse qualificato,
con persone in gamba. Ci vuole il pluralismo. Quindi, ecco perché occorrerebbe dare
vita, in tempi rapidissimi, a una agenzia europea.
D. – La “BBB” di Standard
& Poor's indica quindi che sarebbe meglio non investire sul Paese Italia. Io le chiedo,
professore: al di là del giudizio di Standard & Poor's, sull’Italia si può ancora
investire?
R. – Ma è ovvio. La gente non sa che in molti settori l’Italia occupa
– per quanto riguarda le aziende del manifatturiero – posizioni di eccellenza, che
superano quelle della Germania. Allora come si fa a dire “non conviene investire”,
quando noi abbiamo non una, non due, ma decine e decine di imprese che sono leader
o europee o addirittura mondiali? Dire di non investire vuol dire che c’è, da parte
di questi analisti, l’interesse a far sì che gli investimenti vengano dirottati in
altra direzione.