2013-07-10 15:09:38

AppStore compie 5 anni: migliaia di applicazioni aiutano o complicano la vita?


Cinque anni fa, il 10 luglio 2008, nasceva AppStore, il negozio virtuale dove acquistare applicazioni da scaricare su smarthphone e altri dispositivi mobili come i tablet. Un anniversario non per fare pubblicità alla Apple – affiancata in questo tipo di commercio da altri distributori di applicazioni – ma per riflettere su un fenomeno che ha rivoluzionato la vita di miliardi di persone, che tutti i giorni scaricano applicazioni di ogni tipo. Roberta Gisotti ha intervistato Fabio Pasqualetti, esperto di nuove tecnologie, docente alla Pontificia Università Salesiana:RealAudioMP3

Prof. Pasqualetti, tutte queste applicazioni - ben 50 miliardi quelle scaricate da Apple Store, che ne propone 900 mila - sono necessarie o utili per la nostra vita o sono piuttosto bisogni indotti?

R. – Bisogna riconoscere che molte di queste siano necessarie e importanti: sono quelle applicazioni che hanno espanso la potenza dei nostri cellulari, ci permettono funzioni utili come ad esempio il ritrovamento di una via, l’orario ferroviario, la traduzione di lingue, operazioni matematiche e via dicendo. Sono infinite perché spaziano in tutto il campo del sapere. Ovviamente, poi ci sono anche quelle di intrattenimento. Io credo sia una realtà che è cambiata così velocemente che è difficile da diagnosticare con accuratezza. Certamente, la Apple ha capito che c’era bisogno di semplificare la vita per rendere questi supporti mobili utili alle persone. L’antico rapporto uomo-macchina, dove bisognava sapere codici, linguaggi informatici, sparisce in un’interfaccia che viene definita "amichevole", friendly, in cui le persone, anche quelle meno dotate, possono capire e con pochi gesti arrivare alla funzione che vogliono utilizzare. Per cui, la riflessione che potremmo fare è su questa iper-tecnologizzazione che sta avvenendo soprattutto nel mondo occidentale. Ricordiamoci, infatti, che anche se le cifre sono grandi, ci sono due terzi della popolazione mondiale che non sa nemmeno cosa siano queste cose, anzi hanno problemi di acqua e di elettricità molto più fondamentali che non questo. Però, noi interagiamo sempre di più con le macchine.

D. - Un altro punto però è che dietro la vendita, la distribuzione di questa applicazione, c’è anche un giro d’affari: un giro d’affari che a tutt’oggi è in mano a pochi soggetti, che quindi possono decidere della vita delle persone proponendo consumi e stili di vita…

D. – Sì, ci sono molte problematiche dietro questi oggetti di "culto". Ad esempio, vari componenti di questi oggetti, in particolare dei telefonini, devono essere fatti con quelle che vengono tecnicamente chiamate “terre rare”, che sono degli elementi chimici la cui produzione provoca anche a volte inquinamenti, radiazioni e via dicendo, e di solito vengono prodotti in Paesi dove la legislazione e il controllo sul lavoro sono molto più bassi. Abbiamo saputo delle polemiche che ci sono state con le fabbriche in Cina della Apple. Ma non è solo Apple, anche Microsoft e tanti altri usano questo lavoro a basso costo per soddisfare le nostre esigenze di popoli occidentali. Ciò che, secondo me, a volte è un po’ scandaloso è la vita di questi supporti: ogni anno ci si presenta un nuovo modello molto attraente, molto suggestivo, che stimola le fantasie e le aspettative per cui la gente è indotta a cambiare il proprio cellulare, il proprio smartphone, il proprio computer. Questo con tutto una serie di problemi di smaltimento di tutta la produzione e di impatto ambientale che stanno alle spalle.

D. - L’importante è che si ragioni sempre su quello che si fa, ma non possiamo sempre aspettarci che in generale la gente abbia coscienza, e anche la capacità, di poter cambiare il corso delle cose. Quindi, forse, anche la politica va interpellata in questo senso…

R. – Assolutamente sì. Ci dovrebbe essere un ripensamento globale dell’economia proprio perché stiamo vedendo che la globalizzazione così com’è non sta funzionando molto bene. Credo si debba ripensare la concezione stessa di lavoro ma anche di vita, di qualità della vita. Probabilmente, bisognerebbe entrare in quell’ottica di sobrietà, sposare concetti come decrescita, che non vuol dire andare indietro ma dare valore alle cose che hanno importanza. Magari accontentarsi di meno, ridistribuire di più la ricchezza, lavorare di più sul locale, essere capaci di gioire di altri fattori che non siano solo oggetti.

D. – Quindi, anche di non farsi stordire dalla Rete?

R. – La Rete è una grandissima opportunità. Mai come oggi abbiamo avuto uno strumento a portata di mano che ci permette di accedere ad informazioni, a conoscenze. Però, l’intelligenza della rete dipende anche dall’intelligenza con cui la si usa. L’intelligenza non è mai data per scontata, bisogna acquisirla con responsabilità, sviluppare l’attenzione ad esempio. Oggi, si può dire che c’è una tendenza a essere distratti dalla velocità dei cambiamenti delle cose, soprattutto anche dallo stesso modo con cui funziona la rete, che spinge sempre a passare da un link all’altro molto velocemente. Questo è molto comodo, è molto interessante, ma noi abbiamo bisogno, non solo di elaborare dati ma di ripensarli, quindi di rimuginarli. Il nostro cervello funziona non come un processore che fa passare una sequenza di numeri ma abbiamo bisogno di simbolizzare, di capire, di approfondire e questo ovviamente richiede più tempo.







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