Tibet. La polizia cinese spara contro i monaci buddisti: uno è in fin di vita
Senza avvertimenti o tentativi di mediazione, la polizia cinese ha aperto il fuoco
contro un gruppo di tibetani riuniti nella zona di Tawu per festeggiare il 78.mo compleanno
del Dalai Lama. Gli agenti hanno sparato ad altezza uomo e colpito diverse persone:
Tashi Sonam, monaco buddista di Nyatso, è stato colpito alla testa da un proiettile.
Al momento è in condizioni critiche in un ospedale di Chengdu. I religiosi - riferisce
l'agenzia AsiaNews - si erano riuniti lo scorso 6 luglio per pregare e augurare lunga
vita al loro leader spirituale. I monaci venivano dal monastero di Nyatso, mentre
le monache dal convento Geden Choeling. Uno dei presenti, Jangchup Dorjee, è il fratello
di Palden Choetso, monaca che si è data fuoco il 3 novembre del 2011 per protestare
contro l'invasione cinese del Tibet e chiedere il ritorno a casa del Dalai Lama.
Gli agenti della Polizia armata del popolo - un gruppo paramilitare che risponde al
ministero della Difesa di Pechino, non agli Interni - sono arrivati sul luogo della
preghiera e senza alcun avvertimento o tentativo di dialogo hanno lanciato lacrimogeni
contro la folla. Subito dopo hanno aperto il fuoco ad altezza uomo: fra i feriti anche
lo stesso Jangchup, Tsering Dhonudp, Nyendak, Tashi e una monaca ancora non identificata.
In Tibet la situazione rimane molto tesa. Ad oggi si sono auto-immolate 119 persone
per protestare contro il dominio cinese sull'area, mentre il Dalai Lama (dall'esilio
di Dharamsala) ha chiesto ai suoi fedeli di preservare la vita umana "sopra ogni altra
cosa". Nei giorni scorsi era circolata la voce di un "rilassamento" delle autorità
cinesi riguardo la libertà religiosa e di culto nell'area, ma Pechino ha smentito
tutto con forza. Il governo cinese considera il leader buddista "un lupo vestito da
agnello" e lo accusa da anni di incitare la regione all'indipendenza. In realtà, il
Nobel per la Pace da almeno tre decenni chiede a Pechino soltanto "autonomia culturale
e libertà religiosa", ovvero la possibilità per i tibetani di imparare la propria
lingua madre e praticare senza restrizioni il buddismo locale. (R.P.)