2013-07-09 13:59:43

Mons. Montenegro: "Francesco a Lampedusa, pellegrino nel santuario del mondo"


''Ho visto un pellegrino che è venuto nel santuario del mondo”: questa la toccante frase di mons. Francesco Montenegro arcivescovo di Agrigento, al termine della visita del Papa a Lampedusa. Per un bilancio, Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – Il nome di Lampedusa significa sia “roccia”, sia “lampada” e Lampedusa vive questo in pieno. E’ roccia e tanti si incagliano, molti cercano la solidità della vita e arrivano qui. E' faro perché è visibile, da lontano lo vedono e la gente arriva.

D. – Che cosa dice alla Chiesa agrigentina questa realtà di oggi, questo viaggio del Papa?

R. – Come Chiesa agrigentina e io come suo vescovo – e molte volte l’ho detto anche in qualche radio che mi intervistava – mi sto chiedendo: è un esodo biblico? Quando ho vissuto la Pasqua, qui, con la gente di Lampedusa, due anni fa, meditando le letture della veglia di Pasqua ho detto: guardate questa storia di tanti, tanti anni e millenni fa, è la nostra storia. Quando ho sentito che il Papa veniva a Lampedusa ho detto: quel popolo ebbe Mosè, ebbe Giosuè che lo guidava, e ora che siamo in cammino alla ricerca di qualcosa di diverso abbiamo anche noi la nostra guida. Sto cercando di leggere con gli occhi della Bibbia questa storia perché davvero ha un significato. Non sono soltanto statistiche – ne arrivano tanti, ne muoiono tanti – sono vite che si intrecciano con le nostre. Allora, dobbiamo continuare a leggere davvero il Signore cosa vuole da questa chiesa agrigentina.

D. – Parafrasando il Papa, che in sostanza ha detto di non rinnegare le lacrime degli occhi che guardano a un’umanità indifesa e calpestata, questa frase è quasi un ponte con l’omelia che lei ha tenuto nella Chiesa di San Gerlando il giorno prima, nell’attesa del Papa, in cui ha parlato di visita storica, ma anche di grande sfida per quest’isola nell’accoglienza. Il suo indirizzo di saluto poi guardava ancora questo aspetto…

R. – Io ho l’impressione che Lampedusa sia quel piccolo pezzo di mondo che serve da "test" per vedere che mondo ci sarà. Può sembrare insignificante un pezzo di terra come questo: finisce presto, basta fare il giro dell’isola ed è finito... Però, ha un ruolo importante: il fatto di trovarsi al centro del Mediterraneo, quasi ponte tra due continenti. Lampedusa non è soltanto un’isola, è una piattaforma dove si può inventare qualcosa, dove qualcosa è già stata inventata e l’ha fatto il cuore della gente, dove l’incontro si è già sperimentato. Gente che ha aperto armadi, che ha aperto case, che non si è fatta conti in tasca, la tazzina di caffè messa vicina alla porta… Allora, se questo è possibile, senza conoscere l’altro – e qui le persone l’hanno vissuto – se allarghiamo a macchia d’olio quello che è stato sperimentato qua, sarà il mondo che sarà diverso. Non credo che questa sia un’illusione. Io credo nella continuazione della storia biblica. Siamo tutti diretti verso una terra promessa.

D. – Lei è stato con il Papa praticamente tutta la giornata. Molto toccanti i momenti dell’imbarco, dove il Papa ha visto le lapidi senza nome: che cosa è successo lì?

R. – Siamo passati davanti al cimitero e gli ho detto che lì erano sepolti. Poi quando siamo arrivati vicino a porta Europa ho visto che lui si è alzato ed è rimasto a lungo in silenzio nonostante la gente acclamasse dai barconi e dalla riva. Lui ha pregato e poi l’ho visto continuare a pregare. Ho visto i suoi occhi quando ha trovato in fila tutti gli immigrati che lo aspettavano al molo. Qualcuno potrebbe dire: ora stai facendo poesia. Ma là c’era un padre che stava incontrando i figli. Li sentivo, alcuni di loro erano musulmani, e lui a ciascuno ha stretto la mano e li ha guardati, usando la frase di Benedetto, con gli occhi del cuore. Quando poi siamo arrivati vicino al luogo della celebrazione, vedendo le barche, anche quella che fungeva da altare, diceva: ma quanta sofferenza, quanta sofferenza. E’ stato un cammino segnato dalla sofferenza. E credo che lui lo abbia vissuto così.

D. – Che cosa lascia questa visita?

R. – Credo che questa visita abbia spalancato porte e abbia spalancato finestre. Quando una porta è aperta, grazie alla porta aperta si può entrare e si può uscire. Quando c’è una finestra aperta che guarda fuori si riesce a guardare lontano. Credo che dopo questa visita non possiamo più guardare la punta del naso. Non possiamo dire che Lampedusa finisce dove arriva il mare, perché Lampedusa, anche se è una macchiolina nel Mediterraneo, è un pezzo di mondo. Il mondo ha bisogno di Lampedusa come Lampedusa ha bisogno del mondo. Credo che questa sia soprattutto la novità.

D. – Come si terrà adesso acceso questo faro su quest’isola e su tutte le terre di approdo? E’ una sfida grande?

R. – L’importante è che qui non spegniamo la luce. Perché quando c’è buio, anche una lucetta accesa in una stanza viene vista da lontano e fino a quando c’è una luce a cui guardare c’è sempre un cammino da poter fare. Noi continueremo a tenere accesa questa luce. Se altre ancora se ne accenderanno, è il mondo che sarà illuminato un po’ di più: una luce alla volta, è un mondo sempre più luminoso.







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