Padre La Manna sul Papa a Lampedusa: l'indifferenza è il vero nemico da sconfiggere
Papa Francesco durante l’omelia della Messa celebrata ieri mattina a Lampedusa ha
sottolineato con forza di essere venuto a compiere un gesto di vicinanza nei confronti
degli immigrati, ma anche a risvegliare le coscienze perché ciò che è accaduto non
si ripeta. Salvatore Sabatino ha chiesto un commento sulla riflessione di Papa
Francesco a padre Giovanni La Manna, presidente della Fondazione “Centro Astalli”,
sede italiana del “Jesuit Refugee service”:
R. – Il messaggio
deve essere forte se veramente vogliamo risvegliare le coscienze e aprire gli occhi
soprattutto di quanti hanno la responsabilità di governare questo fenomeno che tocca
molte persone. Il Papa ha ripetuto: non si ripeta, non si ripeta per favore la tragedia
che è diventata frequente, morire in mare.
D. – Papa Francesco ha parlato anche
della globalizzazione dell’indifferenza che è un concetto anche in questo caso che
porta a riflettere noi tutti…
R. – Sì, l’indifferenza è il vero nemico da sconfiggere.
Lui ha fatto riferimento al Vangelo e l’indifferenza è passare, vedere le persone
in difficoltà o in realtà critiche, dire alla propria coscienza “io non c’entro” e
andare oltre. Questo non è possibile, bisogna che ciascuno senta il peso sulla propria
coscienza di questa realtà che è una vergogna, che ci farà passare alla storia come
una civiltà barbara.
D. – Papa Francesco è riuscito a portare l’estrema periferia
al centro del mondo anche dei media. Questo è un risultato assolutamente straordinario…
R.
- Il Papa, come pastore, preoccupato delle periferie e delle persone in difficoltà,
si è recato a Lampedusa. Questo ha significato anche che la stampa, le televisioni,
l’abbiano seguito. Credo che Papa Francesco abbia reso un servizio anche alla stampa,
ai mezzi di comunicazione perché possano dare una lettura della realtà in maniera
diversa, forse più vicina a quella vissuta dai profughi che arrivano a Lampedusa.
D.
– Cosa rimarrà nelle immagini, nei racconti, nella sua mente, di questo viaggio di
Papa Francesco a Lampedusa?
R. - Rimane sicuramente una testimonianza. Il Papa
ci ha invitato a non essere maestri ma testimoni. Lui lo sta facendo e rimane questa
testimonianza che è autorevole, credibile. Spero proprio che svegli le coscienze soprattutto,
ripeto, della comunità internazionale che ha la responsabilità di mettere fine a questa
vergognosa pagina che si protrae da troppo tempo.
D. – Questo è quello che
lei dice da anni lavorando con gli immigrati: ci voleva un atto forte, di consapevolezza…
R.
– Ci vuole un atto forte ed è stato realizzato. Ora abbiamo bisogno di seguire questa
testimonianza. Questa iniziativa del Papa responsabilizza ciascuno di noi. Ciascuno
che dice di credere, ora sente, deve sentire il peso sulla propria coscienza dei morti
in mare, di tutti quelli che sono morti e non può più far finta di nulla. Non possiamo
più dire, non dipende da noi o chiederci: io da solo cosa posso fare? Non siamo soli.
Il Papa con tutta la sua testimonianza impegna tutta la Chiesa. La Chiesa è una comunità
grande per cui nessuno può sentirsi più solo ed è chiamato a impegnarsi, cambiando
la nostra cultura. La nostra povertà non è economica ma è culturale, è animata da
un’indifferenza che ci chiude. Quindi, il primo passo è aprirci all’incontro, così
come ha fatto il Papa. Il Papa l’ha potuto fare a Lampedusa sul molo: stringere la
mano allo straniero da ascoltare. Noi possiamo realizzare questo stesso incontro nelle
nostre città che sono luoghi di secondo approdo. Lampedusa è più visibile ma nelle
nostre città, nel silenzio del quotidiano, si giocano tante opportunità per aiutare
questi nostri fratelli.