L'omelia del Papa a Lampedusa: ho sentito che dovevo venire qui a pregare, per risvegliare
le coscienze
Nella Messa a Lampadusa, nel campo sportivo "Arena", il Papa ha avuto parole molto
forti. Il calice, il pastorale e l’ambone sono stati realizzati con i legni delle
barche che hanno condotto gli immigrati nell'isola.. Le loro carcasse giacciono a
fianco “dell’Arena”. Viola il colore dei paramenti per questa Messa di carattere penitenziale.
“Immigrati
morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state
una via di morte. Così il titolo nei giornali. Quando alcune settimane fa – ha detto
il Papa nell’omelia - ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta,
il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza.
E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza,
ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta,
non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine
e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai
volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone
nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite
un esempio di solidarietà! Grazie!".
“Grazie – ha proseguito - anche all’Arcivescovo
Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto e il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale.
Saluto cordialmente il sidnaco, signora Giusy Nicolini. Grazie tante per quello che
lei ha fatto e fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che stanno oggi,
alla sera, iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali.
La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre
famiglie. A voi: O' Scia'”.
“Questa mattina – ha detto il Papa - alla luce
della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto
provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente
certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo
dopo il peccato. «Dove se. Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il
suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto,
di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella
relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro
che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino,
dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi
di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare
il sangue del fratello! Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta
la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più
attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato
per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando
questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella
a cui abbiamo assistito”.
Quindi ha proseguito: “«Dov’è tuo fratello?», la
voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad
altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e
sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità
e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato
la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano
accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E un’altra
volta a voi, abitanti di Lampedusa, ringrazio per la solidarietà! Ho sentito recentemente
uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui, sono passati per le mani dei trafficanti,
quelli che sfruttano la povertà degli altri; queste persone per le quali la povertà
degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti
ad arrivare!”.
Poi ha aggiunto: “«Dov’è tuo fratello?» Chi è il responsabile
di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che
narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché
è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E
quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono:
«Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza:
Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi
rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio
chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?».
Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della
responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e
del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano:
guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”,
e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo,
ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi,
ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che
sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta
all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.
In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell’indifferenza!
Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non
è affare nostro!”
“Ritorna – ha aggiunto - la figura dell’Innominato di Manzoni.
La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza
nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è tuo fratello?», sono le due domande
che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli
uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda:
«Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», chi ha pianto per
la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano
sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini
che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che
ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza
ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto,
il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato
morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua
a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel
nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza,
di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato
prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo. «Chi
ha pianto?», chi ha pianto oggi nel mondo?”.
“Signore – ha concluso il Papa
- in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza
verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo, Padre, perdono per chi si è accomodato,
si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo
perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni
che conducono a questi drammi. Perdono Signore! Signore che sentiamo anche oggi le
tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».