Lampedusa in preghiera per l'arrivo del Papa. Appello del cardinale Vegliò per difendere
la dignità dei profughi
E' tutto pronto a Lampedusa, per accogliere il Papa questa mattina. Il Pontefice pregherà
per coloro che hanno perso la vita in mare, visiterà i superstiti e i profughi presenti
sull’isola siciliana. Nella Messa celebrata nel campo sportivo abbraccerà ed incoraggerà
anche tutti coloro che sono impegnati nell’accoglienza. Il nostro inviato a Lampedusa
Massimiliano Menichetti:
Lampedusa aspetta
con trepidazione l'arrivo di Papa Francesco. Illuminata da un caldo sole estivo, l’isola
siciliana vive da sempre la contraddizione della sua bellezza e delle tragedie che
si consumano a poche miglia dalle coste. Porta d’Europa e di speranza, approdo per
chi fugge da guerre o persecuzioni, è meta mai raggiunta da molti: 20mila secondo
gli ultimi dati hanno trovato sepoltura in queste acque. Il centinaio di migranti,
attualmente sull’isola, aspettano l’arrivo del Papa: c’è curiosità, speranza e tanta
gratitudine come conferma ai nostri microfoni Zaccaria, partito dalla Somalia
e approdato proprio a Lampedusa:
“Senz’altro posso dire che è un momento
storico. Una cosa veramente indispensabile, che fa vedere la situazione e cosa vuol
dire l’accoglienza. La preghiera ha molto significato”.
Il successore di
Pietro viene per pregare, rinnovare nella fede, per scuotere le coscienze dell’Italia,
dell’Europa, del mondo intero. Gli isolani ieri sera, alle 21.00, si sono ritrovati
nella parrocchia di San Gerlando per accompagnare il Papa con la preghiera. Sobrio
ma densissimo il programma di oggi del Santo Padre. Toccante sarà il momento in cui
deporrà in mare una corona di fiori, per i tanti che non hanno mai visto questo avamposto
e riposano sotto le acque, che d’estate sono meta di turisti e vacanzieri. Papa Francesco
sarà accompagnato dai pescatori, guardiani dell’orizzonte, vere e proprie ancore di
salvezza per migliaia di persone. Poi abbraccerà chi varcando questa porta del Vecchio
Continente conserva un fardello che non dimenticherà mai; quindi la Santa Messa nel
campo sportivo e l’incontro riservato nella parrocchia di don Stefano Nastasi, testimone
della carità insieme agli abitanti e tanti volontari; specchi di un dolore che non
può rimane muto.
Dunque la visita del Papa dovrebbe smuovere l’attenzione di
tutto il mondo. Massimiliano Menichetti ne ha palato con il cardinale Antonio
Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti
e gli Itineranti:
R. - Di fatto,
Lampedusa è uno dei tanti punti di arrivo dei flussi migratori mondiali, e forse tra
i minori dal punto di vista quantitativo. Oggi il mondo si trova a confronto con la
dura realtà di oltre 100 milioni di sfollati in tutti i continenti. 100 milioni è
una cifra enorme. In alcune regioni e in alcuni Paesi, vi sono milioni di persone
che offrono ospitalità ad altri milioni di esseri umani, anche per molti anni. Penso,
ad esempio, ai rifugiati afgani che si trovano in Pakistan o in Iran. In effetti,
anche oggi sta accadendo una tragedia umana in molte aree del pianeta e quella più
visibile si sta verificando in Medio Oriente, dove migliaia di siriani quotidianamente
passano il confine per entrare nei Paesi vicini, con immagini drammatiche che vediamo
riprese e trasmesse dai mass-media sui nostri teleschermi. Poi, vi sono ancora molte
situazioni in cui uomini, donne e bambini vivono da anni in campi profughi, senza
che si prospetti una soluzione in vista; persone più o meno dimenticate, come in alcune
regioni dell’Africa. E sottolineo persone dimenticate. Mi auguro che la visita del
Santo Padre a Lampedusa possa suscitare una rinnovata attenzione da parte di tutti,
alla quale facciano seguito manifestazioni di concreta preoccupazione e di solidarietà
per migliorare situazioni divenute disumane e inaccettabili.
D. - I media di
tutto il pianeta parlano di questa visita. Ma cosa dovrebbe seguire concretamente
a tale iniziativa, quando le telecamere abbandoneranno questo luogo di speranza e
morte?
R. - È proprio quello che ho appena cercato di dire: una rinnovata preoccupazione
nei confronti di milioni di persone costrette ad abbandonare le loro case; garantire
i diritti che spettano ai perseguitati; impegnarsi perché tutti possano vivere con
dignità. Ricordo che qualche anno fa - io ero appena arrivato qui come presidente
- uno dei miei collaboratori lanciò una forte sfida ad un politico, proponendogli
- cito le parole esatte - di restare a vivere in un campo rifugiati per quindici
giorni, condividendo le stesse condizioni di vita dei profughi, per poi avere una
discussione su quello che si dovrebbe fare. Bisogna sperimentare, infatti, cosa vuol
dire vivere in certe situazioni. Non potrei esprimerlo meglio che citando Papa Francesco
che ha detto, quando ci ha ricevuti un mese fa al termine della Plenaria del dicastero:
“Auspico che la Comunità internazionale si senta sempre più interpellata a porre al
centro delle sue attenzioni la dignità e la centralità di ogni persona umana.[…] Oggi
come non mai è urgente approntare nuovi approcci di diverso genere, nell’ambito civile,
culturale e sociale, come pure nella dimensione pastorale, per far fronte alle sfide
che emergono da forme moderne di persecuzione, di oppressione e, talvolta, anche di
schiavitù”.
D. - Che vuol dire accogliere l’altro e come si favorisce questo
incontro abbattendo i pregiudizi e le paure?
R. - Da sempre il cristianesimo
si è qualificato per il suo atteggiamento sensibile e aperto verso i deboli e verso
gli stranieri. Ci sono molti racconti storiografici nella Bibbia che sono legati ad
incontri inaspettati con i forestieri. Leggendo le lettere di San Paolo, ad esempio,
si vede che la comunità cristiana di Roma si era distinta nell’ospitalità. Soprattutto
l’elemento dell’accoglienza rendeva i cristiani diversi dagli altri. Se qualcuno non
aveva un posto dove ripararsi, sapeva di trovare buona accoglienza in quella comunità,
dove volentieri amavano chiamarsi tra loro “fratelli” e “sorelle”. Da notare che questo
trattamento non era riservato soltanto ai membri della comunità, ma veniva raccomandato
a prescindere dalle caratteristiche individuali. Le comunità cristiane spendevano
tempo, energie e risorse per onorare l’ospitalità. E questo suscitava ammirazione
negli scrittori non cristiani che ne hanno lasciato testimonianza. Con il passar del
tempo, questa pratica dell’ospitalità ha dato vita a innumerevoli opere di beneficenza:
ospedali, case di cura, ospizi, foresterie…
Alla base di tutto c’è la convinzione
che siamo una sola famiglia umana, nel rispetto delle nostre legittime differenze.
Infatti solo nel cristianesimo parliamo tra di noi di fratelli, sorelle e questa è
una rivoluzione enorme. Per questo dobbiamo aver cura gli uni degli altri. Conoscere
chi ci sta vicino è il miglior modo per cacciar via la paura. Papa Giovanni Paolo
II - presto Santo - più volte ha detto: “Non abbiate paura”. Anche in questo caso,
abbiamo bisogno di rimanere fedeli agli insegnamenti di Gesù, che ha vissuto sulla
sua pelle il dramma del rifugiato quando è dovuto fuggire in Egitto per sottrarsi
ad Erode che lo voleva uccidere.
D. - Papa Francesco ha ribadito più volte
l’importanza di guardare, agire nelle periferie del mondo. Lampedusa può diventare
un esempio di rinascita?
R. - Potrebbe davvero diventare un esempio di rinascita.
La visita del Santo Padre conferma quello che le Chiese locali, gli Istituti religiosi
e i laici cristiani impegnati stanno facendo in molti modi diversi e complementari.
La nostra sollecitudine pastorale ci incoraggia a restare vicino a coloro che sono
costretti a fuggire, sensibili e attenti alla loro situazione. Questo è molto esigente
e avrà una particolare ripercussione su tutti noi, visto che saremo toccati sul vivo,
soprattutto se lasciamo entrare questi nuovi poveri nella nostra vita, se non distogliamo
gli occhi da questi nuovi schiavi dell’era moderna.
Voglio solo citare, come
esempi tra tanti altri, il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, la Caritas, le Commissioni
episcopali per la mobilità umana e la Commissione Cattolica Internazionale per le
Migrazioni. Si tratta di organismi che vivono con i rifugiati e gli sfollati e cercano
di assisterli, per migliorare le loro condizioni di vita. Ecco, la nostra stessa presenza
in circostanze tanto difficili è un’autentica testimonianza di fede. Per loro la visita
del Papa sarà come una forma di sostegno e di incoraggiamento per il lavoro che stanno
facendo. Lo stesso vale per le persone che sono arrivate a Lampedusa e per la popolazione
locale, che si prende cura di chi arriva con straordinari esempi di generosità e di
altruismo.
Per molti di noi, questa visita può diventare un nuovo appello
a prendere in seria considerazione ciò che il messaggio di Gesù vuol dire sulla sofferenza
nel mondo, intorno a noi. Come possiamo rispondere a questo appello con azioni concrete,
affrontando anche le cause che stanno all’origine dei flussi migratori e proponendo
soluzioni eque per creare situazioni di sicurezza, di stabilità, di coesione sociale
e di responsabile integrazione?
D. - Quale il suo augurio per questo viaggio
di Papa Francesco?
R. - Il 5 luglio ho visto il Santo Padre quando ha consacrato
lo Stato della Città del Vaticano a San Giuseppe e a San Michele Arcangelo ed ha benedetto
una statua dedicata a quest’ultimo. C’erano sia Papa Francesco sia il Papa emerito
Benedetto. Spero che si realizzino le aspettative che il Santo Padre porta nel cuore
e che gli hanno suggerito questo primo viaggio all’inizio del suo pontificato. Parlando
con Papa Francesco ho detto che tutti erano rimasti contenti di questa sua decisione
di andare a Lampedusa. È un segno forte. Mi auguro che la sua visita, quello che farà
e quello che dirà sappiano sensibilizzare l’opinione pubblica sui motivi che costringono
uomini, donne, anziani e bambini a fuggire, sollecitando maggiore comprensione e compassione
nella società. Parlando con il Papa ho anche detto: “Santo Padre noi non possiamo
risolvere tutti i problemi ma possiamo però creare una nuova mentalità più favorevole,
più aperta a questi nostri fratelli che si trovano in condizioni molto più difficili
delle nostre”. L’atteggiamento del Santo Padre nei confronti di coloro che soffrono,
toccati dalla persecuzione o dalla miseria, ci ricorda che una società che vuol definirsi
civile non può accettare che vi siano persone innocenti che sopravvivono in condizioni
disumane, private di dignità, di presente e di futuro. Anche questo può essere fonte
di ispirazione per una rinnovata attenzione umana, civile ed una rinnovata attenzione
pastorale.