"Ammonire i peccatori": l'opera di misericordia affidata a mons. Zuppi al Festival
di Spoleto
Continua a Spoleto, nell’ambito del Festival dei Due Mondi, la rassegna Le Prediche
dedicata alle sette Opere di misericordia spirituale. “Ammonire i peccatori” è stata
quella affidata ieri a mons Matteo Maria Zuppi, vescovo ausiliare di Roma e
assistente ecclesiastico della Comunità di Sant'Egidio. “Si tratta - dice al microfono
di Gabriella Ceraso - di un”Opera di Misericordia desueta ma che impegna tutti
ad essere migliori”:
R. - In realtà
è una delle opere di misericordia più utili, qualche volta anche fondamentali perché
un’ammonizione può davvero cambiare la vita delle persone come il non far niente può
lasciare, quindi condannare le persone a quello che stanno facendo, quindi a farsi
del male. Purtroppo però l’ammonire non è per niente chiaro perché tendenzialmente
se non mi riguarda se non fa del male agli altri in maniera visibile, io non faccio
niente. L’ammonire significa anche prendersi carico, intervenire su qualcuno, e chi
è che si prende la responsabilità? In un individualismo così generalizzato chi è che
si prende la responsabilità di dire qualcosa agli altri? Lo facciamo molto poco, lo
facciamo soltanto quando è qualcosa di evidente, e lo facciamo in maniera, potremmo
dire, difensiva non preventiva.
D. - L’ammonimento è un’opera che richiede
dunque particolare impegno a livello di rapporto personale e crea qualcosa, costruisce?
R.
- Non c’è dubbio, assolutamente, e non solo a livello personale. Una delle immagini
più chiare e anche più belle di ammonimento è quella che fece Giovanni Paolo II ad
Agrigento contro i mafiosi. Giovanni Paolo II era credibile, lo faceva con compassione,
e quelle sue parole hanno sicuramente significato qualcosa per chi ascoltava ed era
contro la mafia, ma poi soprattutto per cercare di cambiare il peccatore, perché l’ammonimento
è sempre un gesto di speranza, non di condanna.
D. - Quindi ammonire non è
condannare e non è neanche sinonimo di giudicare?
R. - Assolutamente no. Giudica
molto di più chi non fa niente. Perché poi non è vero che non ci accorgiamo. Non diciamo
niente e questo è il giudizio peggiore perché si rischia di lasciar soli. L’esempio
più chiaro è Gesù. Gesù ammonisce, certo. Ammonisce e ama. Per questo credo che non
sia mai una condanna, anzi è un aiuto a capire: ti voglio bene, per questo ti dico
qualcosa, ti voglio bene per questo non voglio che tu ti faccia del male.
D.
- E’ anche una responsabilità sociale. Se è così come si potrebbe tradurre?
R.
- Caspita se non è sociale! Perché non ammoniamo i peccatori? Proprio per pigrizia,
per quieto vivere, per paura, per indifferenza. Dal punto di vista sociale questo
ha un prezzo enorme. E’ chiaro che lo può però dire solo chi lo vive. Cioè io posso
aiutare davvero se sono libero dal male. Questo significa un impegno civile, mi sembra
evidente. Essendo però in una stagione di grande individualismo e di grande indifferenza
verso il bene comune, verso la convivenza, ci accontentiamo del quieto vivere, che
non è mai sufficiente.
D. - Lei parla a una platea che è quella dello Spoleto
Festival. Su che cosa vuole puntare?
R. - Innanzitutto che ammonire i peccatori
non è condannare, non è giudicare ma esattamente il contrario: è un’opera di misericordia
che ci impegna tutti ad essere migliori e che in realtà ci fa essere più vicini agli
altri. Dovremmo imparare a guardare con più interesse e soprattutto a vincere quell’idolatria
dell’io per cui io all’altro non posso dire niente perché altrimenti sono matto, e
che invece è il primo modo per aiutarlo.Questo mi impegna a parlare, in maniera efficace,
tenera, vicina, credibile, forte, se serve, in amicizia e con attenzione. Gesù non
condanna, non ammonisce i peccatori, è curioso….. Gesù ammonisce i giusti, che non
capiscono il loro peccato, mentre incoraggia i peccatori, paradossalmente, li incoraggia
a essere diversi. Ma la vera ammonizione di Gesù è verso i farisei, verso i giusti
che non si rendevano conto del peccato. Ed è un’ammonizione vigorosa perché era l’unico
modo che aveva per provare a superare la loro diffidenza. Ecco quindi se ci fosse
più impegno ad aiutarci ad essere migliori, questo ferirebbe qualche orgoglio ma sicuramente
ci renderebbe tutti quanti più attenti a chi abbiamo vicino.