Turchia, Tribunale annulla il progetto di ammodernamento urbano di Gezi Park
Un Tribunale di Istanbul ha annullato il progetto di ammodernamento urbano che coinvolgeva
il Gezi Park di Piazza Taksim, all'origine delle proteste contro il governo che hanno
sconvolto il Paese per giorni. La prima Corte amministrativa ha giustificato l'annullamento,
suscettibile di appello, con il fatto che la “popolazione locale” non è stata consultata.
Ma questa decisione può essere vista come una vittoria dei manifestanti? Salvatore
Sabatino lo ha chiesto al collega Camille Eid, esperto di Paesi islamici
del quotidiano “Avvenire”:
R. – E’ una
vittoria, però mi chiedo come mai questa decisione del tribunale non sia stata resa
nota prima, perché alcune agenzie riferiscono che il tribunale la aveva adottata ai
primi di giugno. Quindi hanno lasciato che i manifestanti scendessero in piazza per
manifestare e provocare tutto questo subbuglio in Turchia, quando invece c’era già
una decisione in merito.
D. – Oggi il governo turco, dopo tutte queste manifestazioni,
sembra più consapevole dei suoi limiti d’intervento. Questa decisione del tribunale
potrà avere delle conseguenze su Erdogan e sul suo pungo duro?
R. – Sì e ha
già avuto conseguenze: il Paese si è dimostrato proprio spaccato in due. Questo vale
anche per l’Egitto, vale anche per la Siria, vale anche per l’Iraq, per il Libano.
Spero che questo non sia una specie di anticipazione di una grande guerra o un grande
conflitto che coinvolgerebbe tutti questi Paesi, spaccati proprio a metà tra pro e
contro il governo al potere.
D. – Allargando la prospettiva, ciò che è successo
in Turchia è molto diverso da quanto sta accadendo in Egitto: due Paesi importantissimi
per lo scacchiere mediorientale eppure così differenti fra loro…
R. – Questo
è vero. In Turchia il partito Akp ha dato prova di una buona gestione in questi ultimi
anni: solo ultimamente, forse, ha cercato di allargare un po’ i suoi orizzonti, intraprendendo
quindi una politica più ambiziosa degli anni precedenti, e provocando molti malumori
in seno agli altri partiti laici o liberali. Il caso egiziano è diverso, perché abbiamo
avuto l’esperienza di un solo anno al potere della Fratellanza islamica, che si è
dimostrata poi una politica disastrosa per il Paese. Quindi i turchi ci hanno messo,
forse, 10-15 anni per capire i limiti di azione del partito Akp al potere, nonostante
i suoi successi, ripeto; in Egitto, il popolo egiziano ci ha messo un solo anno per
arrivare a questo stesso risultato.
D. – Sia la Turchia che l’Egitto hanno
dei rapporti molto stretti, seppure per motivi differenti, con Stati Uniti ed Europa:
sono ancora oggi attori affidabili?
R. – Affidabili – diciamo – per forza di
cose. Per quanto riguarda la Turchia, lo è sempre stata dai tempi della Nato e dell’Unione
Sovietica piuttosto, essendo un Paese confinante con l’Urss e quindi per la Nato era
importantissimo per le basi militari e per tutta una serie di motivi strategici. Per
quanto riguarda l’Egitto, gli Stati Uniti hanno sostenuto l’esercito semmai - e continuano
a farlo - ma per motivi diversi, riguardanti sia la zona del Golfo che la situazione
politica in Israele. Chiaramente l’Egitto è stato poi il primo Paese arabo a sottoscrivere
un accordo di pace con Israele, che i Fratelli musulmani non hanno ritirato o denunciato
come promettevano. Quindi per un movito o per l’altro sono e rimangono affidabili,
ma per la loro posizione geografica e geopolitica, a prescindere dal partito che detiene
il governo del Paese.