2013-07-03 14:08:05

Portogallo: la crisi economica si fa crisi di governo. Becchetti: l'Ue fermi le politiche di austerità


Governo sempre più in bilico in Portogallo, dopo le dimissioni del ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, e quelle - respinte - del ministro degli Esteri, Paulo Portas. Secondo la stampa, altri ministri sarebbero pronti a lasciare l’esecutivo. Intanto il presidente della Commissione Ue, Barroso, esprime preoccupazione e auspica che si eviti il rischio che la credibilità finanziaria del Paese, “appena ricostituita”, sia “messa in pericolo”. Della situazione dei conti in Portogallo e delle politiche europee Fausta Speranza ha parlato con Leonardo Becchetti, docente di economia politica all’Università Tor Vergata di Roma:RealAudioMP3

R. – E’ un Paese che è in recessione ormai da tre anni e che per avere il prestito da parte delle istituzioni internazionali di 78 miliardi, che serviva per far ripartire l’economia, ha sottoscritto un piano di aggiustamento molto severo, che prevedeva il taglio dei salari dei dipendenti pubblici e dei pensionati. Il piano era talmente severo che il governo ha sottoposto la validità di questo piano alla Corte Costituzionale: la Corte Costituzionale lo ha bocciato!

D. – Qual è il peso del Portogallo nell’Unione Europea? Abbiamo parlato tanto di Spagna, di Grecia…

R. – Il problema non è a dimensione del Paese. Il problema è che l’applicazione di politiche sbagliate da parte dell’Unione Europea rischia di far diventare piccoli problemi dei problemi giganteschi, in Portogallo o altrove. Peccano di austerità: si pensa che il riequilibrio dei bilanci possa avvenire attraverso tagli alla spesa pubblica e riduzione dei salari per diventare più competitivi. Ma questo deprime la domanda interna sia dal lato pubblico che dal lato privato, riduce il Pil e quindi il rapporto debito-Pil finisce per peggiorare, invece che migliorare.

D. – La Grecia era arrivata a quel momento così difficile anche per conti falsati. Il Portogallo com’è arrivato a questo momento di recessione? Soltanto per la congiuntura negativa?

R. – La situazione del Portogallo è diversa da quella della Grecia. Non c’erano questi problemi così grossi. Secondo me l’errore è non fare politiche come quelle americane. Per rispondere alla situazione di oggi, la strada non è quella di abbassare sempre di più i salari e tagliare la spesa: la strada è quella di lavorare per far crescere i salari nei Paesi poveri ed emergenti, evitando il ricatto di questa riduzione del costo del lavoro a livelli bassissimi - penso alla situazione del Rana Plaza in Bangladesh – e, allo stesso tempo, puntare su politiche monetarie che siano più espansive. Se noi andiamo a guardare gli Stati Uniti, gli Stati Uniti hanno ridotto di tre punti il loro tasso di disoccupazione in questi anni con una politica monetaria espansiva, che ha fatto ripartire la domanda interna del Paese.

D. – Però resta il problema di un debito pubblico per gli Stati Uniti e per l’Europa che cresce indiscriminatamente, anche nei confronti della Cina…

R. – Il problema è che se riparte l’economia reale, anche gli indicatori di bilancio migliorano. Gli Stati Uniti avevano un rapporto deficit-Pil molto alto: si sono preoccupati di far ripartire l’economia e oggi quel rapporto deficit-Pil si sta riducendo significativamente. Quindi il problema è trovare un equilibrio tra gli eccessi delle politiche giapponesi, che addirittura hanno raddoppiato l’offerta di moneta e quindi fondamentalmente non si curano del fatto che il loro debito sia il 230 per cento del Pil, all’eccesso dell’Europa che, invece, sta esagerando dal lato del rigore e dal lato dell’austerità.

D. – L’instabilità politica di questo momento, non aiuta certo il Portogallo…

R. – Questo senz’altro. Però l’instabilità politica deve essere messa in conto, perché quando si insiste in maniera esasperata con l’austerità, è evidente che non si può pensare che la tenuta sociale del Paese sia eterna. Fa parte dei conti che vanno comunque fatti!







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