2013-07-03 14:18:28

Mons. Bregantini al Festival di Spoleto: "Dove c'è il perdono c'è un Paese che cresce"


Perdonare le offese: un cammino lungo, eroico, ma fecondo. Questo il filo conduttore che mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso-Boiano, svolgerà dinanzi al pubblico del Festival dei Due mondi in corso a Spoleto. L’appuntamento è per domenica prossima 7 luglio nella Chiesa di San Domenico nell’ambito del ciclo “Le Prediche” dedicato quest’anno alle Opere di Misericordia Spirituale, che coinvolgono tanti aspetti della vita sociale politica e culturale dell’uomo contemporaneo. Sul perdono, sentiamo - al microfono di Gabriella Ceraso - lo stesso mons Bregantini:RealAudioMP3

R. – E’ certamente il vertice del Vangelo. Perdonare è l’ultima parola di Gesù sulla Croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. La grandezza di un cristiano è tutta lì, come la non capacità di perdonare o la non volontà produce poi distruzioni, violenze, guerre…

D. – Lei ha avuto testimonianza di perdono fattibile e semmai anche di perdono che porta al pentimento?

R. – Il pentimento è un’altra cosa ancora: sono le due facce della medaglia. Classico è l’omicida di don Pino Puglisi: “Quel sorriso lo ha convertito”. Però il perdono vale anche quando l’altro non si converte, perché altrimenti è relazionato in negativo.

D. - Mons. Bregantini, lei pensa che questo tipo di opera, di cui lei parlerà al pubblico di Spoleto, si può - e quindi anche il perdono – estendere anche al piano socio-politico? Diventare un po’ un principio guida a livello delle istituzioni?

R. – Certo. Basterebbe la stima, l’ascolto dell’altro, momenti ufficiali di incontro tra partiti diversi e operare insieme su piani comuni. Perdonare le offese può voler dire, in positivo, costruire un mondo di relazioni pulite, solide e intrecciate, dove il bene vince il male e dove la forza del bene costruisce il bene anche per l’altro.

D. – Perdono è, dunque, una reazione: non è dimenticanza di quanto è accaduto…

R. – No, non lo è. Le ferite bisogna guarirle, non nasconderle! L’unico modo, come ci dice la spiritualità, è trasformare le ferite di sangue in feritoie di luce e di grazia. Dimenticare è una delle fasi. Bisogna fare di più: togliere, per esempio, i risentimenti; vincere la permalosità… Il perdono delle offese comporta anche la pacificazione interiore, che diventa poi saggezza, paternità nel confessionale, ma anche nelle scuole, guida sicura con i figliuoli. In questo senso la “Pacem in terris” ci insegna tantissimo: odiare il peccato, ma non il peccatore!

D. – Le chiedo di attingere ancora al suo patrimonio di esperienze vissute, soprattutto quando è stato vescovo in Calabria. Quale l’esperienza che più l’ha colpita come cuore cambiato, capace di perdonare e che ha anche generato grazia intorno a sé?

R. – Quella di una mamma, di un paese vicino a Bovalino, a cui hanno ucciso il marito. Lei gli è corsa dietro e hanno sparato anche lei e per miracolo, con un’operazione ardita, le hanno recuperato le gambe. Anche se zoppicante, la vedevamo poi venire alle riunioni, parlare in cattedrale, essere ministra di riconciliazione e di consolazione. Ha creato nel paese uno spazio e i suoi figli oggi sono tra i migliori, perché educati al perdono e anche la comunità religiosa che viveva con lei, che l’ha sostenuta e insieme ne ha avuto beneficio, è diventata - essa stessa - capace di apprendere. Dove c’è il perdono, c’è un condominio diverso, c’è un paese che cresce; dove c’è la vendetta, c'è la morte, la faida… Io ho visto delle faide terrificanti! I funerali più agghiaccianti sono i funerali dove io ho seppellito qualcuno, sapendo che tra la gente c’era già il desiderio di vendetta, che avrebbe ucciso altra gente.

D. – Qual è il messaggio che vorrebbe arrivasse a chi l’ascolta, perché a Spoleto ci sarà un pubblico eterogeneo per culture, per provenienze, per interessi?

R. – Che perdonare è difficilissimo e quindi ci vuole tempo; che è eroico e quindi ci vogliono delle tappe accompagnate; ma che perdonare è il culmine della pienezza della dignità umana. Quando uno dà la mano al nemico, non è vile, ma è lui che vince, è lui che cambia il cuore dell’altro, è lui che trasforma un ambiente. Questo è il messaggio che io vorrei arrivasse.







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