Mons. Bregantini al Festival di Spoleto: "Dove c'è il perdono c'è un Paese che cresce"
Perdonare le offese: un cammino lungo, eroico, ma fecondo. Questo il filo conduttore
che mons. Giancarlo Maria Bregantini, vescovo di Campobasso-Boiano, svolgerà
dinanzi al pubblico del Festival dei Due mondi in corso a Spoleto. L’appuntamento
è per domenica prossima 7 luglio nella Chiesa di San Domenico nell’ambito del ciclo
“Le Prediche” dedicato quest’anno alle Opere di Misericordia Spirituale, che coinvolgono
tanti aspetti della vita sociale politica e culturale dell’uomo contemporaneo. Sul
perdono, sentiamo - al microfono di Gabriella Ceraso - lo stesso mons Bregantini:
R. – E’ certamente
il vertice del Vangelo. Perdonare è l’ultima parola di Gesù sulla Croce: “Padre, perdona
loro, perché non sanno quello che fanno”. La grandezza di un cristiano è tutta lì,
come la non capacità di perdonare o la non volontà produce poi distruzioni, violenze,
guerre…
D. – Lei ha avuto testimonianza di perdono fattibile e semmai anche
di perdono che porta al pentimento?
R. – Il pentimento è un’altra cosa ancora:
sono le due facce della medaglia. Classico è l’omicida di don Pino Puglisi: “Quel
sorriso lo ha convertito”. Però il perdono vale anche quando l’altro non si converte,
perché altrimenti è relazionato in negativo.
D. - Mons. Bregantini, lei pensa
che questo tipo di opera, di cui lei parlerà al pubblico di Spoleto, si può - e quindi
anche il perdono – estendere anche al piano socio-politico? Diventare un po’ un principio
guida a livello delle istituzioni?
R. – Certo. Basterebbe la stima, l’ascolto
dell’altro, momenti ufficiali di incontro tra partiti diversi e operare insieme su
piani comuni. Perdonare le offese può voler dire, in positivo, costruire un mondo
di relazioni pulite, solide e intrecciate, dove il bene vince il male e dove la forza
del bene costruisce il bene anche per l’altro.
D. – Perdono è, dunque, una
reazione: non è dimenticanza di quanto è accaduto…
R. – No, non lo è. Le ferite
bisogna guarirle, non nasconderle! L’unico modo, come ci dice la spiritualità, è trasformare
le ferite di sangue in feritoie di luce e di grazia. Dimenticare è una delle fasi.
Bisogna fare di più: togliere, per esempio, i risentimenti; vincere la permalosità…
Il perdono delle offese comporta anche la pacificazione interiore, che diventa poi
saggezza, paternità nel confessionale, ma anche nelle scuole, guida sicura con i figliuoli.
In questo senso la “Pacem in terris” ci insegna tantissimo: odiare il peccato, ma
non il peccatore!
D. – Le chiedo di attingere ancora al suo patrimonio di esperienze
vissute, soprattutto quando è stato vescovo in Calabria. Quale l’esperienza che più
l’ha colpita come cuore cambiato, capace di perdonare e che ha anche generato grazia
intorno a sé?
R. – Quella di una mamma, di un paese vicino a Bovalino, a cui
hanno ucciso il marito. Lei gli è corsa dietro e hanno sparato anche lei e per miracolo,
con un’operazione ardita, le hanno recuperato le gambe. Anche se zoppicante, la vedevamo
poi venire alle riunioni, parlare in cattedrale, essere ministra di riconciliazione
e di consolazione. Ha creato nel paese uno spazio e i suoi figli oggi sono tra i migliori,
perché educati al perdono e anche la comunità religiosa che viveva con lei, che l’ha
sostenuta e insieme ne ha avuto beneficio, è diventata - essa stessa - capace di apprendere.
Dove c’è il perdono, c’è un condominio diverso, c’è un paese che cresce; dove c’è
la vendetta, c'è la morte, la faida… Io ho visto delle faide terrificanti! I funerali
più agghiaccianti sono i funerali dove io ho seppellito qualcuno, sapendo che tra
la gente c’era già il desiderio di vendetta, che avrebbe ucciso altra gente.
D.
– Qual è il messaggio che vorrebbe arrivasse a chi l’ascolta, perché a Spoleto ci
sarà un pubblico eterogeneo per culture, per provenienze, per interessi?
R.
– Che perdonare è difficilissimo e quindi ci vuole tempo; che è eroico e quindi ci
vogliono delle tappe accompagnate; ma che perdonare è il culmine della pienezza della
dignità umana. Quando uno dà la mano al nemico, non è vile, ma è lui che vince, è
lui che cambia il cuore dell’altro, è lui che trasforma un ambiente. Questo è il messaggio
che io vorrei arrivasse.