Beatificazione del card. Van Thuân: domani la chiusura dell'inchiesta diocesana
Si concluderà domani, dopo poco più di due anni e mezzo, l’inchiesta diocesana sulla
vita, le virtù eroiche e la fama di santità del cardinale vietnamita Francois-Xavier
Van Thuân, morto il 16 settembre del 2002. Nel 1975, pochi mesi dopo essere stato
nominato arcivescovo, fu imprigionato per 13 anni, di cui 9 in isolamento, per la
sua fede. Il servizio di Fausta Speranza: 00:06:05:52
Venerdì,
dopo una solenne celebrazione eucaristica nella Basilica di Sant’Antonio di Padova
a Roma, all’Auditorium Antonianum verrà presentata la traduzione italiana delle sei
Lettere pastorali del cardinale Van Thuân, scritte tra il 1968 e il 1973, pubblicata
dalla Libreria Editrice Vaticana e curata dal Pontificio Consiglio della Giustizia
e della Pace. Della figura del cardinale Van Thuân, abbiamo parlato con il postulatore,
dr. Waldery Hilgeman:
R. – E’ stato prigioniero sotto il regime comunista
in Vietnam. E’ stato incarcerato senza un legittimo processo. Questa carcerazione
è durata 13 anni, di cui nove in isolamento totale, senza mai rinnegare la sua fede,
senza mai accettare compromessi. Il cardinale è molto famoso per una croce pettorale,
che lui una volta liberato faceva vedere molto in giro, e che è diventata il simbolo
della sua prigionia e anche il simbolo della sua spiritualità. Ha costruito questa
croce durante la sua prigionia, con pezzetti di legno che gli erano stati forniti
proprio dalle sue guardie, ed è poi riuscito a costruire una catena con il filo elettrico.
Una volta diventato cardinale, ha continuato ad indossare questa croce, simbolo della
sua prigionia e simbolo della sua spiritualità.
D. – Una testimonianza fortissima
per tutti i cristiani, ma anche un personaggio storico per il Vietnam?
R. –
Certo, è un personaggio storico per il Vietnam, perché è un vescovo che è diventato
martire della speranza. Lui è stato incarcerato e durante questo periodo di incarcerazione
non ha mai perso la speranza nella Chiesa, non ha mai rinnegato la Chiesa. E questo
è un simbolo per quel popolo che ancora oggi lì non si trova a vivere in uno stato
di libertà religiosa come dovrebbe essere.
D. – Il cardinale Van Thuân ha dato
una testimonianza fortissima durante la carcerazione, ma poi questa testimonianza
è continuata attraverso racconti, mai rancorosi, mai con accenti di odio, mai con
una parola brutta nei confronti di quello che era successo, ma sempre una testimonianza
forte di amore. E’ così?
R. – E’ così, e non poteva essere diversamente. Le
guardie che lo tenevano sotto controllo, in prigione, dicevano: “Ma tu un giorno,
se sarai liberato, ci farai perseguitare?” E lui: “No, assolutamente”. “Ci farai uccidere?”
E lui: “Certo che no, io vi amo”. “Come? Tu ci ami?” “Sì, certo. Io vi amo”. E questo
è il messaggio che il cardinale ha trasmesso a quelli che erano i suoi “nemici”. Ovviamente
una volta liberato, questa sua spiritualità, di Gesù abbandonato sulla croce, è diventata
il simbolo della sua opera. Una volta liberato, lui ebbe l’onore di predicare gli
esercizi alla Curia romana e non erano esercizi a caso: erano gli esercizi dell’anno
2000, all’alba del Terzo millennio. Lui venne chiamato da Giovanni Paolo II, il quale
ha detto: “Monsignore, le vorrei chiedere di predicare questi esercizi alla Curia
romana”. E lui con grande stupore rispose: “Santità, ma io sono stato in prigione,
non sono aggiornato dal punto di vista teologico. Cosa potrei dire?” E il Papa rispose
prontamente: “Ci porti la sua esperienza”. Quando un Pontefice invita un vescovo a
portare la sua esperienza, lo invita a fare diventare quella esperienza magistero
della Chiesa in un certo qual modo. Lui predicò questi esercizi, che sono stati poi
pubblicati e questo libro è diventato un best-seller. Questo riassume un po’ quella
che è la spiritualità di Van Thuân, che nasce appunto dalla sofferenza e dall’abbandono
in carcere.
A presentare gli appuntamenti che venerdì accompagneranno la conclusione
del processo diocesano, è stato il cardinale Peter Turkson, presidente del
Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Gli abbiamo chiesto quali parole
meglio esprimano la testimonianza lasciata dal cardinale Van Thuân:
“‘Gaudium
et spes’ è stato il titolo di un documento importante del Concilio ma sono anche le
due parole che il cardinale Van Thuân ha voluto per il suo stemma di vescovo. Gaudium
et spes, per lui, per i suoi fedeli, sono sempre il desiderio di presentare il
Vangelo, l’esperienza di un cristiano, come fonti di speranza per la sua gente. I
cristiani sono invitati innanzitutto a fare un’esperienza di gioia nella fede per
poterla poi trasmettere come fonte di speranza per gli altri”.
Il segretario
del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, mons. Mario Toso, sottolinea
l’importanza di ricordare la testimonianza del cardinale Van Thuân e racconta ricordi
personali:
R. - Un testimone della speranza, soprattutto nel campo della nuova
evangelizzazione che implica l’annuncio e la testimonianza di una nuova Dottrina sociale
della Chiesa, maggiormente posta a servizio delle esigenze del Vangelo e della missione
della Chiesa.
D. - Un ricordo del cardinale Van Thuân …
R. - Ricordo
che mentre preparavamo il compendio della Dottrina sociale della Chiesa e lavoravamo
insieme in commissione, egli mostrava molta pazienza, era lucido e distribuiva la
sua saggezza. Ricordo sempre che alla fine di qualche riunione, vedendo che io sono
salesiano, dovevo percorrere un gran tratto di strada, andando dall’altra parte della
città, mi invitava cordialmente e fraternamente a casa sua, ed egli stesso mi preparava
il pranzo. Ho considerato questo come un segno di fraternità e un segno di attenzione
nei confronti dei sacerdoti: un tratto che ha sempre contraddistinto la figura del
cardinal Van Thuân, già ancora quando era vescovo nella sua diocesi e successivamente
incontrando molti sacerdoti provenienti dal Vietnam. Li accoglieva a casa sua offrendo
loro anche il momento conviviale.
D. - Dunque, l’importanza di gesti eroici,
ma anche di gesti semplici per l’altro …
R. - Sì, per le lui le cose erano
molto naturali, venivano spontanee. Avendo incentrato tutta la sua esistenza nell’amore
di Gesù Cristo e volendo dimostrare questo amore a tutti quelli che incontrava, per
lui era una cosa naturale occuparsi delle persone e andare incontro ai loro bisogni
più semplici.