“La pace non si fa con i convegni, ma recandosi dove ci sono i conflitti, incontrando
chi combatte e chi soffre”: lo dice all'agenzia Misna mons. Roko Taban, amministratore
apostolico della diocesi di Malakal, nel corso della settimana di preghiera per la
“riconciliazione” in Sud Sudan. La testimonianza di mons. Taban ha un valore speciale
perché la sua diocesi comprende Jonglei, una regione tornata ostaggio di un conflitto
armato sette anni dopo la fine della Seconda guerra civile del Sudan (1983-2005) e
uno dopo la nascita di uno Stato del Sud indipendente da Khartoum. La settimana di
preghiera è l’inizio di un percorso delineato da un comitato costituito dal governo
ad aprile, alla guida del quale figurano esponenti di spicco delle Chiese locali.
Secondo l’amministratore apostolico, “per capire le cause profonde del conflitto di
Jonglei e contribuire a risolverlo è essenziale che siano organizzati incontri sul
posto e che siano ascoltate le comunità”. In questa regione ai confini con il Sudan
e l’Etiopia i tradizionali contrasti tra gli allevatori Nuer e Murle per la terra,
i pascoli e l’acqua sono sfociati in una ripresa delle violenze l’anno scorso. Da
allora l’esercito del Sud Sudan sta affrontando un gruppo ribelle guidato da un ex
generale, David Yau, sostenuto per lo più dai Murle. Combattimenti, agguati e rappresaglie
hanno già provocato migliaia di sfollati e costretto spesso le persone ad affrontare
lunghi viaggi nel timore di ritorsioni da parte della comunità rivale. La crisi sarà
un banco di prova per il comitato voluto dal governo, guidato dall’arcivescovo anglicano
Daniel Deng Bul e dal vescovo emerito di Torit, mons. Paride Taban. La settimana di
preghiera, che comincia oggi, si concluderà in coincidenza con il secondo anniversario
dell’indipendenza del Sud Sudan. (R.P.)