Nei cinema italiani "La quinta stagione", film dalla forte dimensione ecologica
Presentato lo scorso anno in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, è finalmente
arrivato sugli schermi italiani "La quinta stagione", un’esperienza cinematografica
piena di suggestioni visive, in cui il tema dell’Apocalisse assume una forte dimensione
ecologica e di denuncia delle violenze operate dall’uomo contro la natura, che si
ribella silenziosa portando la società umana ai bordi della follia e della scomparsa.
Il servizio di Luca Pellegrini:
Le galline hanno
smesso di fare le uova, le mucche il latte, le api il miele, in un remoto villaggio
belga delle Ardenne. Com’era accaduto prima del diluvio, la popolazione non si fa,
all’inizio, tante domande. La vita scorre secondo le antiche tradizioni, si celebra
con rito pagano la fine dell’inverno, una stagione che è la prima dell’anno. E forse
sarà l’ultima. Si ribella anche il fuoco, l’aria e l’acqua non sono più le stesse,
un albero crolla e poi un altro. Gli insetti si moltiplicano. Il cibo scarseggia.
I semi non attecchiscono più, lo fa, invece, la paura. I rapporti umani si sbriciolano,
non rimane che accarezzare gli alberi, in un panteismo terreno che esclude ogni forma
di religiosa preghiera. Peter Brosens e Jessica Woodworth, lui belga e lei americana,
non hanno voluto girare un film direttamente riconducibile all’apocalisse del pianeta,
ma come questa ipotesi di fine tragica possa creare apocalissi interiori, nelle anime
e nei corpi, quando sono alla deriva. Succederà. Si sono chiesti: “Cosa accadrebbe
se non arrivasse la primavera? Nel film la natura prende il sopravvento in segno di
protesta contro l'umanità. Questa situazione allarmante provoca l'implosione di una
comunità. Scampate al naufragio alcune anime riescono a fuggire. Il loro destino resta
ignoto”. Il loro film è discretamente arrogante, ma profondamente enigmatico e affascinante.
Rarefatto, coglie un allarmismo diffuso che è presente oggi nella società, cavalca
le ansie ecologiche. Ispirandosi molto alla pittura fiamminga per i quadri esteriori,
mentre quelli interiori sono sensibilmente scandagliati da personaggi che vengono
stravolti dagli scherzi della natura prima e dalla violenza incontenibile dell’uomo
poi, quando fa uscire il peggio di se. Infatti, lo sfaldarsi delle relazioni umane
è l’apice della sconfitta e la comunità, alla fine, ricorre a quella che i registi
chiamano “la forma di arroganza più estrema: il sacrificio umano come modo disperato
di rovesciare il cattivo presagio”. E’ avvenuto nella storia. Ma il futuro, invece,
è messo nelle mani di un adolescente solitario, concentrato nel suo gesto di carità,
mentre una famiglia di struzzi africani, sulle note possenti di Bach, invade il borgo
abbandonato, in una totale distonia della natura, nella perdita di tutte le certezze.