2013-06-28 16:04:31

Parma: funerali di padre "Bepi" Berton, apostolo dei bambini soldato in Sierra Leone


“L’importante è donarsi e avere fiducia nella provvidenza, in Dio”. Questa la certezza che ha guidato, per 81 anni, padre Giuseppe Berton, missionario saveriano, morto il 25 giugno scorso. Ieri i funerali presso la Casa Madre dell’Ordine, a Parma. Padre Giuseppe, "Bepi" come veniva chiamato affettuosamente, fondatore “del Movimento delle Case famiglia”, ha speso tutta la sua esistenza al servizio degli altri, in particolare dei bambini vittime della guerra in Sierra Leone. Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

Ottantuno anni ed una grinta senza confini, quella che un anno fa lo ha riportato, nonostante la precarie condizioni di salute, in Sierra Leone, dove ha trascorso una vita prendendosi cura dei piccoli senza famiglia, degli ex bambini-soldato arruolati e deturpati dalla guerra (1992-2000). Così padre Giuseppe Berton, nel giugno del 2012, parlava ai nostri microfoni della sua amata Africa:

"Ho imparato un sacco di cose, specialmente quella di saper accettare quel che viene, quello che capita. Lì c’è la Provvidenza, e lasciamo che operi. Noi siamo presenti oggi e saremo presenti domani. E loro questo senso della provvidenza, della fiducia in Dio, ce l’hanno davvero molto forte".

Padre “Bepi”, come lo chiamavano tutti, era un uomo di Dio al servizio degli ultimi, libero nel cuore. A Freetown la sua eredità visibile il "Family Homes Movement”, una rete di case famiglia per ridare dignità, futuro e luce a occhi senza più speranza.


Il ricordo di padre "Bepi", nelle parole di padre Stefano Berton, fratello di Giuseppe, anche lui missionario saveriano:RealAudioMP3

R. – Giuseppe era il primo in una famiglia di dieci figli, un po’ il caposquadra. Tra noi ci volevamo bene e spesso scherzavamo. Lui diceva: “Io sono l’originale della squadra di dieci, voi siete venuti dopo, siete copie”. Io replicavo sempre: “Ma guarda che la mamma non era pratica, allora, sai? Poi è andata migliorando …”. Cinque maschi e cinque femmine, lui – Bepi è il primo, io terzo dei dieci e secondo Saveriano, mentre il terzo è sacerdote diocesano – don Bruno – nella diocesi di Vicenza. Ma comunque, lui ha sempre conservato tra di noi questo primato morale di autorità, di amore, di tutto.

D. – Grandissimo è l’impegno che suo fratello ha avuto affianco dei bambini …

R. – Gli ultimi vent’anni li ha dedicati al recupero dei ragazzi-soldato, in Sierra Leone. Ha fondato anche una associazione, “Family Homes Movement”, dove accoglieva i ragazzi che recuperava dalla guerriglia. Lo stesso esercito, la polizia, sapevano che mio fratello dirigeva a Lakka, alla periferia di Freetown, questo centro di recupero e quando catturavano questi ragazzi glieli portavano, e lui se li teneva e dopo li sistemava presso famiglie per aiutarli a ricostruirsi una famiglia e un avvenire.

D. – Che cosa erano per suo fratello i bambini?

R. – Per lui erano tutto! La sua era una propensione naturale, una missione di vita. Aveva un carattere allegro, sapeva scherzare, giocare… Lui amava stare con i ragazzi e dare speranza. Lui, grazie ad aiuti, aveva anche trasformato un Centro per il turismo in un centro di recupero per i ragazzi.

D. – Ci regala un’immagine di suo fratello, una cosa l’ha colpita?

R. – Per esempio: era così africano che il suo orologio era come quello degli africani: il sole, le nuvole… Gli africani dicono: “Vuoi che mi alzi, se il sole non è ancora venuto fuori?”. Lui si era così, io dico “africanizzato”. Quando dovevamo viaggiare, gli dicevo: “Ma guarda, Bepi, che dobbiamo prendere il treno, o la corriera, partire tra un quarto d’ora …”. E lui mi smontava: “Non preoccuparti dopo ce n’è un altro, sai?”

D. – La vita, di tutti e due, comunque è stata tutta orientata a Dio e all’altro…

R. – A Dio e alla missione. Le racconto un altro aneddoto che è rimasto storico in famiglia. A un certo punto, siccome pareva che il superiore generale non fosse pronto e disposto a mandare mio fratello in missione, lui ha fatto una fotografia con una cugina – la cugina Lorena, a quei tempi era una che faceva colpo – e ci ha scritto sotto: “Padre generale se non mi mandi, l’ho già pronta per sposarmi”. Secondo lui, aveva in mano la carta vincente… Questo episodio è solo per far capire il tipo…

D. – Padre Giuseppe come ha vissuto gli ultimi momenti della vita?

R. – Lui è ritornato in Sierra Leone l’anno scorso, il 17 novembre, ma è ritornato con una salute molto incerta e contro il parere di tutti i medici. E’ andato con due volontari. Le sue condizioni però si sono subito aggravate e quindi lo hanno riportato in Italia. Lui aveva sempre detto di voler morire e rimanere là, e invece i superiori lo hanno richiamato perché sarebbe stato impossibile curarlo. Però, qualche giorno fa, con alcuni amici africani, abbiamo rivissuto quei momenti ed ho detto: “Guardate, portate pazienza: noi, come saveriani, dobbiamo essere seppelliti dove cadiamo. Quindi, sarà sepolto in Italia; ma non abbiate paura, abbiate pazienza: vedrete, ritornerà in Africa”. Questa sera lo tumuliamo nella tomba di famiglia a Marostica; penso che quando verrà il tempo, tornerà nella sua Africa …








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