2013-06-27 13:26:23

Siria: il ricordo di padre François ucciso dai miliziani islamici


La Siria sempre in preda alla violenza, mentre nella comunità internazionale cresce il tono del dibattito sul futuro del regime di Assad. Secondo il Wall Street Journal, gli Stati Uniti sarebbero pronti a fornire armi ai ribelli entro un mese. Dello stesso avviso il cancelliere tedesco, Angela Merkel. Diversa la posizione dell’Italia che, per bocca del ministro degli Esteri, Emma Bonino, afferma: “No a forniture di armi, ma Assad deve lasciare la guida del Paese". Ieri un kamikaze si è fatto esplodere davanti alla cattedrale greco-ortodossa di Bab Tuma, nel centro storico di Damasco. Il bilancio è di quattro morti e almeno otto feriti. Intanto, è sempre vivo il ricordo di padre François Mourad, il sacerdote assassinato il 23 giugno scorso a Ghassanieh da un gruppo di miliziani islamici legati ad al-Qaeda. “Era un uomo di fede che ha dato la vita per Cristo e per i siriani”, ricorda in un’intervista ad Asia News un frate francescano che opera in Siria. Noi abbiamo raccolto la testimonianza di Susan Dabbous, giornalista free lance, recentemente sequestrata dai ribelli e che ha incontrato in quel frangente padre Francois. L’intervista è di Giancarlo La Vella:RealAudioMP3

R. – Lo abbiamo conosciuto, io e i miei colleghi quando siamo stati sequestrati in Siria, il 3 aprile scorso. Ci trovavamo proprio nel villaggio cristiani di Ghassanieh, dove lui era rimasto praticamente da solo. La popolazione aveva completamente abbandonato l'abitato e gli avevamo chiesto perché lui fosse rimasto, nonostante ricevesse continuamente minacce dai miliziani che si trovavano lì ad occupare la zona. E, oltre a questo, c’era anche il problema degli incessanti bombardamenti. Sicuramente, aveva un carattere forte, spinto dalla sua grande fede e ci ha detto: "Sono un uomo di Chiesa: io non abbandono i nostri luoghi sacri".

D. – La situazione che ha vissuto padre François è un po’ la stessa che vivono i cristiani in Siria in questo momento?

R. – No. Innanzitutto, perché in genere i cristiani che sono in pericolo fuggono, prevengono le aggressioni proprio perché riescono a fuggire e gli viene permesso di fuggire. Il problema dei cristiani in Siria sorge lì dove ci sono le aree controllate dai fondamentalisti islamici di tipo talebano, quindi affiliati ad al Qaeda. E lì che nasce l’odio confessionale. L’auspicio è che ci sia un intervento da parte della comunità internazionale, anche solo di stampo umanitario. Era quello che ci chiese padre François quando lo incontrammo. Come a dire che era un po’ inutile parlare con i giornalisti senza far capire all’Occidente quale fosse la terribile situazione dei cristiani in Siria, se poi non c’era un intervento, una reazione se poi nessuno muoveva un dito.

D. – Il sacrificio di padre François che cosa ha lasciato in voi che lo avete conosciuto?

R. – Per me, è un grande insegnamento: non possiamo, anche come giornalisti, fermarci alla superficie. Giustamente lui diceva: voi venite qui, seguite la storia, guardate il sangue che scorre e ve ne andate. E questo è vero, purtroppo. Dovevamo vedere meglio la disperazione nei suoi occhi, oltre al fatto che ci stava dando un messaggio molto duro che era quello di metterci di fronte la realtà e che noi giornalisti in quel momento non servivamo assolutamente a nulla. Spero che questo cambi anche il modo per me di fare questo lavoro. Vorrei, quando mi trovo di fronte una situazione del genere, andare oltre e vedere che cosa c’è veramente nel cuore e nella testa delle persone.







All the contents on this site are copyrighted ©.