Lieve miglioramento, ma sempre critiche le condizioni di Mandela. Obama oggi in Sudafrica
“Un eroe per il mondo”: così il presidente statunitense Obama, che sta effettuando
un tour diplomatico nel continente africano, ha definito Nelson Mandela, esprimendo
la sua vicinanza alla famiglia dell’anziano leader e a tutta la Nazione sudafricana.
Il capo della Casa Bianca è atteso oggi nel Paese. Sui motivi del viaggio di Obama
in Africa, Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Arrigo Pallotti,
docente di Storia e istituzioni politiche dell’Africa contemporanea dell’Università
di Bologna:
R. – Durante
il primo mandato, per tante ragioni, ci si è soffermati maggiormente sulle questioni
militari e strategiche e forse si è un po’ indebolito il dialogo politico con i governi
africani. Adesso, senza dubbio è il momento esatto per Obama per recarsi in Africa
nel tentativo di rilanciare la politica statunitense in questa regione.
D.
– C’è una forte espansione della Cina in Africa: tanti gli interessi di questo Paese.
Il viaggio ha un significato anche in questo senso?
R. – Sì: fortissimo, molto
importante. La Cina è presente in molti Paesi africani e sta intensificando i suoi
rapporti economici. E’ molto importante che il presidente americano, forte del secondo
mandato, torni a soffermarsi sulle priorità storiche degli Stati Uniti in Africa,
dalla fine della Guerra fredda: sostegno alla democrazia, sostegno ai diritti umani,
sostegno alle riforme della governance, sostegno al modello di sviluppo in
cui si combatte la corruzione e si cerca di garantire a larghi strati della popolazione
diritti e opportunità economiche più inclusive.
D. – Come sta agendo la Cina
in Africa?
R. – Da una parte, la Cina consente agli africani di valorizzare
le loro esportazioni di materie prime. Dall’altra, però, la Cina non è interessata
a sostenere alcune priorità che per l’Unione Europea e gli Stati Uniti sono molto
importanti: cioè, il rispetto dei diritti umani, la democrazia… La Cina è in grado
di sfruttare i limiti e le contraddizioni del modello di sviluppo che fino a oggi
in Africa non ha dato grandi risultati. I dati che noi abbiamo sull’andamento della
povertà in Africa sono piuttosto allarmanti ed è quindi su queste contraddizioni che
trovano forza, poi, modelli di sviluppo che non sono democratici.
D. – Drammatica
rimane anche tutta la situazione nel Sahel: un tour diplomatico potrà portare attenzione
proprio alla povertà che vive l’Africa? Il Sahel è una situazione limite, ma la povertà
attanaglia tutto il continente in quella contraddizione per cui c’è grande ricchezza
di risorse e tanta povertà tra la popolazione…
R. – Sì. Mettere l’accento,
in questo momento, sullo sviluppo di questi Paesi è molto importante: si rafforza
il ruolo della comunità internazionale, si dimostra che l’interesse non è puramente
legato alla lotta al terrorismo, ma allo sviluppo più in generale. E’ chiaro che poi
democrazia e diritti umani diventano valori e priorità che, anche a livello locale,
sarà più facile promuovere perché interiorizzati dalle popolazioni.
D. – Favorendo
un processo interno di democrazia, piuttosto che esportando un modello?
R.
– Questo è il grande problema che ci si trova ad affrontare oggi, nel senso che assieme
a tutto l’arco di crisi – dalla Repubblica Centrafricana, al Ciad, al Mali, alla Nigeria
del Nord – è evidente che un certo modello di sviluppo è un po’ alle corde. O si sceglie
l’opzione di stabilizzare militarmente questi Paesi e basta, oppure si cerca di accompagnarli
con misure molto radicali, molto estensive di promozione dello sviluppo. Da questo
punto di vista, mi sembra sia incoraggiante il ruolo delle Nazioni Unite per mettere
in atto questo tipo di sviluppo più organico.
D. – Il presidente americano
– se sarà possibile – porterà anche il suo saluto a Mandela, in Sudafrica: una visita
molto significativa…
R. – Per certi versi, bellissima. Bisogna ricordare che
gli Stati Uniti sono stati tra i Paesi che più hanno osteggiato la lotta di liberazione
dell’African National Congress. In questo momento, in cui il simbolo della lotta all’apartheid
e della rinascita del Sudafrica sta molto male, che il presidente degli Stati Uniti
riesca ad andare a salutarlo anche per un momento, credo che dal punto di vista simbolico
e anche politico sia molto importante.