2013-06-26 15:43:12

Sempre meno nascite in Italia: il commento ai dati Istat del sociologo Donati


E’ un’ Italia in cui le nascite sono sempre di meno quella fotografata dall’Istat che ha diffuso il Bilancio demografico nazionale dell'anno 2012. Alla fine dello scorso anno, la popolazione italiana era di 59,6 milioni di persone, di cui 4 milioni e 300 mila di cittadinanza straniera. L’aumento dei nuovi nati stranieri – che in valori assoluti passano da quasi 30 mila nel 2000 a quasi 80 mila nel 2012 – non riesce a compensare il calo dei neonati italiani, 12 mila in meno rispetto al 2011, per un totale di 534.186. Negativo, pertanto, per 78.697 unità, il saldo naturale dato dalla differenza tra nascite e decessi. Infine, le famiglie italiane sono 25 milioni e 873 mila e il numero medio di componenti per famiglia è pari a 2,3. Ma che cosa succede in un Paese che vede costantemente calare le nascite della propria popolazione? Adriana Masotti l’ha chiesto a Pierpaolo Donati, docente di Sociologia della famiglia all’Università di Bologna: RealAudioMP3

R. – Quello che succede è una depressione demografica che sfiora un po’ il suicidio, nel senso che la popolazione invecchia, aumentano i tassi di mortalità, non è rimpiazzata dai giovani e quindi è una popolazione che nel lungo periodo, pian piano, non dico che si estingua, ma quasi. Certamente, questo è abbastanza diverso nelle varie regioni italiane. L’area che maggiormente riesce a rigenerarsi è quella del Trentino Alto Adige e, relativamente, anche il Veneto. Le altre regioni sono tutte molto sotto. Per quanto riguarda il tasso di rimpiazzo della popolazione, ci sono regioni in deciso declino che sono la Liguria, il Molise, la Sardegna… Ma certamente, l’Italia nel complesso va verso questa sorta di mancanza di nuove generazioni che produce indubbiamente un impoverimento generale del tessuto sociale e anche dell’economia.

D. – Quali le cause della denatalità? Forse la crisi economica, o c’è dell’altro?

R. – Io direi che quelle strutturali, cioè di fondo, di lungo periodo, sono demografiche e politiche. Quelle demografiche perché da 40 anni c’è depressione della natalità e quindi le donne in età feconda diminuiscono e quindi diminuisce anche il tasso di natalità. La seconda ragione strutturale è la politica, cioè il fatto che manchi completamente una politica di sostegno alle famiglie. Anzi, le famiglie con i figli sono penalizzate sotto molti aspetti, perché pagano di più in termini di tassazione, in termini di mancanza di risorse adeguate… Poi, ci sono le ragioni congiunturali che sono quelle certamente della crisi economica che crea anche una depressione psicologica, cioè il fatto che le coppie non si sentano di avere figli perché avere figli vuol dire non solo rischio di povertà economica, ma significa anche mettere al mondo una generazione che non si sa se avrà un lavoro, una casa, una pensione… Naturalmente, ci sono tante specificazioni di queste cause che fanno sì che se non si fa una politica per la famiglia molto attiva e molto specifica, l’Italia continuerà questo declino.

D. – Negli ultimi anni, a compensare il calo delle nascite in Italia erano le famiglie immigrate. Adesso, non bastano più neanche i neonati stranieri…

R. – Negli anni passati, sì, c’è stato un tasso di fecondità delle donne immigrate più alto delle italiane che ha sostenuto un po’ il tasso di natalità. Però, anche quello direi che è stato un fenomeno congiunturale che si può ripetere ma sul quale non si può contare in maniera strutturale nel lungo periodo. Cioè, non si può dire: ci saranno i figli degli immigrati che rimpiazzeranno la popolazione italiana. Il primo motivo è che solamente una parte degli immigrati ha un progetto migratorio di stanzialità in Italia, cioè solo un 40-50% degli immigrati pensa di rimanere in Italia. Quindi, sulle immigrazioni non c’è tantissimo da sperare, anche perché le seconde generazioni di immigrati cominciano ad avere un tasso di natalità più o meno pari a quello degli italiani. Dunque, l’immigrazione non è il toccasana. Quello che io voglio sostenere è che se non c’è una politica familiare, demografica specifica e attiva per la popolazione autoctona, il declino continuerà. Io ho fatto un "Piano nazionale per la famiglia", quando ero direttore dell’Osservatorio nazionale famiglia: questo piano, molto ricco, molto articolato negli interventi, è stato approvato dal Governo Monti nel luglio del 2012, però è rimasto lettera morta, mentre invece contiene una serie di misure, non tutte costose, molte anche che riguardano solo norme, dei fatti promozionali – sia in politiche attive per la sensibilizzazione degli orari, per i congedi dei genitori, per i servizi alla prima infanzia, per la conciliazione famiglia-lavoro e così via – che sono tutte misure assolutamente necessarie se vogliamo invertire la rotta. E mi augurerei che i governi – sia quello attuale, sia i prossimi – prendano seriamente in considerazione questo Piano nazionale per la famiglia.

D. – C’è una correlazione tra le nascite e il sentimento religioso di un popolo? Succede così, nelle società?

R. – Dipende un po’ da Paese a Paese. Per esempio, non so, la Svezia, che è molto secolarizzata, ha un tasso di natalità superiore all'Italia semplicemente perché le misure per la maternità e l’infanzia sono di molto superiori a quelle italiane: a Stoccolma nascono più bambini che a Napoli, insomma. Il fatto religioso incide molto poco. C’è una piccola correlazione positiva, nel senso che quanto più si è religiosi, tanti più figli si hanno, però è molto bassa.

Ultimo aggiornamento: 27 giugno







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