Obama annuncia la svolta “verde” e impegna 8 miliardi di dollari
“Gli Stati Uniti vogliono essere il Paese leader globale nella lotta al cambio climatico”:
è quanto ha affermato il presidente statunitense, Barack Obama, presentando martedì
alla Georgetown University di Washington l’ambizioso piano per la riduzione delle
emissioni inquinanti. Obama propone una riduzione entro il 2020 del 20% dell'energia
elettrica consumata dal governo federale, che sarà compensata da fonti rinnovabili.
Obama assicura che sono pronti otto miliardi di dollari in garanzie sui prestiti per
i progetti finalizzati a ridurre le emissioni da carbone e da altre materie prime
fossili. Fausta Speranza ne ha parlato con Dennis Redmont, già direttore
dell’agenzia Associated Press Italia:
R. – È una promessa
che Obama aveva fatto durante la campagna elettorale: quella di avere una “agenda
verde”, ecologica. Aveva promesso di abbassare la proporzione dell’emissione di gas
sotto i livelli del 2005 prima dell’anno 2020. Ha scelto questo momento perché è in
pratica un presidente che non ha più bisogno di essere eletto perché già al secondo
mandato, perciò deve prima fare fede alle sue promesse elettorali, poi deve avere
quella che viene chiamata “legacy” - cioè un’eredità - dove possano dire che Obama
ha fatto il massimo. Poi, se questo sarà approvato o no, è ancora tutto da vedere
perché in America c’è una grande lobby dell’industria del carbone e quando
si parla di questo vuol dire abbassare la produzione di carbone, cosa che per l’America
potrebbe rappresentare un punto in meno del prodotto nazionale lordo.
D. –
A livello politico, chi potrebbe dare voce a questa lobby contraria ad un’evoluzione
in senso ecologista?
R. – In generale, sono certamente i repubblicani, ma anche
una “lobby delle energie” che tenta di essere un po’ trasversale e che adesso, per
esempio, si lamenta del fatto che gli Stati Uniti non approvano un gasdotto che verrebbe
dal Canada - chiamato "Keystone pipeline" - che potrebbe portare dal Canada nuove
risorse energetiche. L’America si trova tra la sua indipendenza energetica con vecchi
mezzi e il fatto che non vuole dipendere dall’estero. Perciò, vorrebbe ribilanciare
le sue provvigioni dal Medio Oriente per essere più autosufficiente. Insieme con questo,
c’è tutta un’altra industria che bisogna incentivare, ma anche tutta una serie di
misure di efficienza – per esempio abbassare il carbone delle macchine, riscaldare
le case più efficientemente – e l’America ha più strade da percorrere paradossalmente
che l’Europa.
D. – Potrebbe significare l’adozione del Protocollo di Kyoto
dopo l’apertura di Clinton e lo stop di Bush?
R. – Diciamo che il Protocollo
di Kyoto tutti lo considerano morto, però gli Stati Uniti sono impegnati con la promessa
di abbassare i gas dal 17%, sotto i livelli del 2005 prima del 2020. Obama ha fatto
questa promessa alle Nazioni Unite, durante la Conferenza sul clima a Copenaghen,
nel 2009, e vuol mostrare che è un uomo di parola.
D. – Però, dell’adozione
di Kyoto non se ne parla…
R. – Diciamo che il problema è che tutti hanno dato
voce a buoni propositi, ma dall’Italia ai Paesi europei, dagli Stati Uniti e soprattutto
i Paesi in via di sviluppo, quando si è trattato di realizzare non c’è stata una corrispondenza
con i fatti.
D. – Bisogna dire che dopo l’adesione della Russia in realtà poteva
diventare concretamente operativo proprio con l’adesione da parte anche degli Stati
Uniti…
R. – Sì ma l’adesione della Russia è stata un po’ come per altri Paesi:
la Russia è un Paese ad alta concentrazione di produzione energetica e non ha adottato
concretamente gli standard imposti dal trattato di Kyoto, dopo averli forse votati
ma non tradotti poi in azioni.