Egitto: il presidente Morsi in diretta Tv per un discorso alla Nazione
Attesa in Egitto per il discorso alla Nazione che il presidente Morsi pronuncerà domani
in diretta Tv. Un intervento, il suo, che giunge in una settimana decisiva per la
tenuta del governo. Domenica, infatti, l'opposizione, con il gruppo Tamarod (Ribellione),
ha organizzato una manifestazione al Cairo per chiedere le sue dimissioni ed elezioni
anticipate. Tutto questo mentre ricorre il primo anniversario dall'elezione di Morsi.
Ma come è cambiato il Paese in questo ultimo anno? Salvatore Sabatino lo ha
chiesto a Valentina Colombo, docente di Storia dei Paesi islamici presso l'Università
Europea di Roma:
D. – Diciamo
che l’Egitto è cambiato nel senso che, probabilmente oggi come oggi, c’è molta più
responsabilità da parte dei cittadini. I cittadini hanno capito che votando com’è
stato votato Morsi in alternativa a Shafiq, che veniva visto come espressione del
vecchio regime, è stata votata una ideologia. Una ideologia contro il passato, un’ideologia
volta a un cambiamento totale: dopo la laicità, o pseudo-laicità, di Mubarak, votare
un partito islamico. Ma non dimentichiamoci che la maggior parte degli egiziani nelle
elezioni presidenziali, che hanno visto contrapporsi Morsi a Shafiq, non ha votato:
Morsi è stato eletto con 13 milioni di voti contro i 70 milioni abbondanti di cittadini
egiziani.
D. – C’è ora la data del 30 giugno, scelta proprio dal movimento
anti Morsi per chiederne le dimissioni e intanto sono scese in campo le forze armate.
Insomma, una situazione incandescente…
R. – E' una situazione incandescente,
ma anche tipicamente egiziana. L’ingresso delle forze armate in campo è una costante
nella storia politica egiziana: laddove abbiamo dei problemi politici, l’esercito
è sempre entrato, l’esercito è sempre stato un po’ l’ago della bilancia. Ovviamente,
a maggior ragione se si ha bisogno di un elemento forte, che è soltanto l’esercito.
Teniamo presente che all’interno del movimento anti-Morsi troviamo anche alcune parti
islamiche, ovvero gli estremisti islamici di destra, i salafiti: ci sono alcune parti
di questo gruppo forte che iniziano a criticare Morsi stesso.
D. – E non si
fermano poi solo alle critiche, visto che ci sono già dei fatti di violenza e anche
questo non era mai avvenuto: ad esempio, 4 sciiti sono stati linciati in un villaggio
proprio per aver promosso il loro credo in un villaggio a maggioranza sunnita. Questo
è successo nel sud del Paese.
R. – Questo deve far riflettere! Questo è un
qualcosa che rappresenta veramente – possiamo dire – una novità, però non stupisce.
Questo ha a che fare non tanto con l’Egitto, ma con la situazione siriana. Noi, all’inizio
di giugno, abbiamo avuto la dichiarazione di jihad in Siria, da un lato, da parte
del leader dei Fratelli musulmani, e dall’altra di Hezbollah, partito del movimento
islamico sciita in Libano, scatenando la guerra non tanto dei siriani contro il regime
di Assad, ma una guerra interna, intraislamica tra sunniti e sciiti. E questo cosa
significa? Significa che in tutti i Paesi, compreso l’Egitto, laddove non si erano
mai registrati scontri di questo genere – scontri nei confronti di cristiani sì, ma
nei confronti degli sciiti rarissimamente si erano avuti fatti di questo genere –
se si invoca una jihad che vede l’asse sunnita contro l’asse sciita, si arriva
anche a questo.
D. – Tutte queste tensioni interne cozzano poi con il ruolo
di mediatore che il Paese ricopre in ambito internazionale, soprattutto per quanto
riguarda lo scacchiere mediorientale. Può oggi l’Egitto essere ancora credibile?
R.
– Io credo di no, ma non solo l’Egitto. Io, a questo punto, parlerei dei Fratelli
musulmani in generale: purtroppo i Fratelli musulmani sono stati considerati dagli
Stati Uniti e dall’Occidente il male minore in questi Paesi, ma purtroppo quello che
si sta rivelando – sia in Tunisia come in Egitto, per non parlare poi ovviamente della
situazione siriana, che è ancora tutta in fieri – è che i partiti legati al
movimento dei Fratelli musulmani sono tutt’altro che affidabili. Continuano la loro
politica di doppio linguaggio: un linguaggio moderato, addolcito nei confronti dell’Occidente,
nei confronti degli Stati Uniti, e invece un linguaggio più duro, più islamicamente
corretto all’interno. Queste due facce, ovviamente, rappresentano una schizofrenia
nelle loro decisioni. Per cui, addirittura, c’è chi oggi definisce persone come Ghannouchi
in Tunisia o persone come Morsi addirittura dei filo-sionisti, il che è una assurdità
ovviamente. Però, c’è la percezione, all’interno di Paesi come l’Egitto, che i partiti
al potere siano scesi a patti con l’Occidente e con il nemico di sempre che è Israele.