Pirateria. Rientrata in Italia la San Marco. Le coste orientali dell'Africa le più
pericolose
Lotta alla pirateria. Rientrata a Taranto la nave militare italiana San Marco, dopo
quasi sette mesi di attività nel Golfo di Aden, davanti le coste Somale. La missione
Nato, Ocean Shield, è ora guidata dalla Spagna. Intanto il rapporto dell'International
Maritime Bureau evidenzia che, per la prima volta, le coste dell'Africa occidentale
sono diventate più pericolose di quelle orientali: 966 i naviganti che hanno subìto
attacchi nel Golfo di Guinea, contro gli 851 da parte dei pirati somali. Secondo i
dati i Paesi più a rischio sono Nigeria, Benin, Costa d'Avorio, Camerun, Guinea Equatoriale,
Gabon e Togo. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Raffaele
Cazzola Hofmann docente di storia dell’Asia all’Università di Enna ed autore del
libro “I nuovi pirati - La pirateria del terzo millennio in Africa, Asia e America
Latina” edito da Ugo Mursia:
R. - La pirateria
è un fenomeno di portata assolutamente globale, più di quanto saremmo portati a pensare
guardando le questioni che hanno riguardato purtroppo le navi italiane nel Golfo di
Aden, nell’Africa orientale e anche - in qualche modo - dell’Oceano Indiano. In effetti
il dato di una escalation di episodi nel 2012 al largo delle Golfo della Guinea, quindi
nell’Africa Occidentale, è la dimostrazione concreta di un fenomeno che, in realtà,
va già avanti da anni e che vede la pirateria ben presente in particolare - appunto
- nell’Africa Occidentale, ma anche - pur con tassi minori - in alcune aree costiere
del Sud America, del Centro America ed è anche dell’Asia Orientale.
D. - La
pirateria ha volti diversi?
R. - Naturalmente lo scopo comune è quello di guadagnare
soldi attraverso questi atti criminali. Ci sono poi delle differenze concrete: mentre
nell’Oceano Indiano e al largo dell’Africa Orientale si punta molto sul sequestro
degli ostaggi; al largo dell’Africa Occidentale, dove vi è un continuo avanti e indietro
di petroliere, i pirati puntano soprattutto sulla presa di carichi di petrolio.
D.
- Per quanto riguarda il Golfo di Aden è in atto una missione internazionale che cerca
di bloccare il fenomeno, eppure questo non si ferma: 851 attacchi portati contro le
navi…
R. – Guardando il Golfo di Aden e poi anche di Oceano Indiano, visto
che poi i pirati stanno allargando sempre di più il loro raggio di azione, si parla
proprio di una estensione di mare gigantesca. Quindi, per quanto vi siano molte missioni
internazionali, a partire dalla missione della Nato e anche da una missione dell’Unione
Europea – in cui l’Italia gioca un ruolo molto importante - e per quanto vi sia una
crescente organizzazione da parte dei Paesi e delle organizzazioni internazionali,
c’è un fattore geografico elementare che ci mette evidentemente in difficoltà. Però
naturalmente, anche qui, 851 attacchi è un numero che fa impressione, ma 2-3 anni
fa questo dato sarebbe stato molto più imponente: quindi si registrano davvero risultati
sul piano della prevenzione.
D. - Come si può prevenire la pirateria?
R.
- La pirateria è un fenomeno del mare, ma in realtà il primo mezzo di prevenzione
è sulla terra ferma, ovvero lavorare per migliorare le condizioni di vita di popolazioni
che trovano nella pirateria l’unica alternativa possibile. Non è casuale che i territori
nel mondo in cui la pirateria è più forte - quindi appunto Golfo di Aden, Africa Orietnale,
Africa Occidentale e anche alcune realtà del Centro America, come Haiti – siano territori
poveri e disastrati.
D. - La missione dell’Onu verrà prolungata nel Golfo di
Aden fino alla fine del 2014. Possiamo dire, quindi, che a livello globale la pirateria
vede tutti uniti nel contrasto di questo fenomeno?
R. - In linea di principio
certamente sì. Poi naturalmente ogni Paese è, più o meno, in grado di portare un contrasto
concreto, però si può affermare che c’è un accordo. Poi c’è anche chi parla di Paesi
e di governi, in via di sviluppo, che sarebbero conniventi con i pirati per creare
tutto un giro di affari, ma su questo non mi spingerei troppo oltre.