Giornata mondiale del Rifugiato: 45 milioni di persone in fuga, prime vittime donne
e bambini
Si è celebrata ieri la Giornata mondiale del Rifugiato. In un messaggio per l'occasione,
il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, esorta la comunità internazionale a
"intensifare gli sforzi" per aiutare i rifugiati a ritornare alla propria vita in
pace e sicurezza. Oltre 45 milioni di persone nel mondo sono in fuga, e la maggior
parte sono donne e minori. La cifra record degli ultimi 18 anni è dell’Alto Commissariato
Onu per i Rifugiati che, nel suo rapporto annuale, ‘Global Trends’, spiega che, solo
nel 2012, in 7,6 milioni sono stati costretti alla fuga. I Paesi maggiormente coinvolti
sono soprattutto quelli sconvolti da guerre o conflitti, il 55% di tutti i rifugiati
proviene da: Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan, mentre nuovi flussi, anche
importanti, si registrano in uscita da Mali e Repubblica Democratica del Congo. Tra
i Paesi europei destinatari di richieste d’asilo, l’Italia figura al sesto posto con
le 17.352 domande del 2012, la metà rispetto all’anno precedente. Ai primi posti:
Germania, Francia, Regno Unito, Svezia e Olanda.
Intanto, Il 12 giugno scorso
il Parlamento Europeo ha approvato, dopo 5 anni, il nuovo sistema Europeo Comune di
Asilo che, si calcola, avrà impatto sulla vita di circa 400 mila richiedenti asilo
ogni anno, su circa 2 milioni di beneficiari di protezione internazionale e sulle
loro famiglie. Il processo di approvazione è stato lungo e faticoso, denuncia il Consiglio
Italiano per i Rifugiati; inoltre, anche così l’accesso alla protezione continuerà
ad essere estremamente difficile. Nonostante i passi avanti, continua il Cir, “resta
da costruire un vero sistema di asilo che garantisca la parità di diritti e standard
in tutta l’Ue e che preveda la possibilità di accedere alla protezione in modo sicuro”.
Francesca Sabatinelli ha intervistato Christopher Hein, direttore del
Cir:
R. – Si tratta
di un sistema di asilo che parte dal momento in cui la persona straniera, che ha bisogno
di protezione e chiede asilo, è arrivata fisicamente nel territorio dell’Unione Europea,
per esempio a Lampedusa o ovunque sia. Ma non si pronuncia in modo assoluto, però,
su come lo straniero arriva al territorio dell’Unione Europea e quindi non affronta
ciò che accade a causa del Sistema Schengen della sorveglianza delle frontiere esterne,
della sorveglianza del mare e anche interventi addirittura in Paesi terzi per impedire
che le persone possano uscirne: tutto questo insieme fa sì che il 90 per cento dei
richiedenti asilo in Europa arrivino in modo irregolare. Quindi, come si arrivi alla
protezione e, quindi, al territorio europeo, è argomento che non viene affrontato.
Con questa premessa dobbiamo dire che c’è stato, almeno, il tentativo di migliorare
le condizioni, di trovare migliori garanzie, di rispettare anche indirizzi dati negli
ultimi anni dalle sentenze della Corte dei diritti umani di Strasburgo che, comunque,
lascia perplessità su vari fronti.
D. – Perché?
R. – Per esempio, la
direttiva sull’accoglienza dei richiedenti asilo dedica ben quattro articoli alla
detenzione dei richiedenti asilo che, si può dire, è il contrario dell’accoglienza.
Questo, perché? La detenzione dei richiedenti asili, in molti Stati dell’Unione Europea,
è una prassi assai diffusa; ma il fatto che una tale norma preveda articoli così ampi
sulla detenzione, sembra quasi un invito agli Stati a fare ancora maggiore uso della
misura, quindi di privare le persone che richiedono protezione proprio della libertà
individuale.
D. – Se gli Stati europei ci mettono cinque anni per varare un
pacchetto di norme che agli addetti ai lavori non sembrano soddisfacenti per garantire
che vengano rispettati i diritti umani, viene da pensare che c’è un problema di fondo:
la difficoltà ad accettare la figura del rifugiato come una persona bisognosa di sostegno.
R.
– Esattamente. Ma anche di prendere seri impegni – nel caso italiano, anche costituzionali
o comunque internazionali – a rispettare il diritto di asilo e quindi di dimostrare
concretamente solidarietà con chi è costretto a fuggire dal proprio Paese. Non a caso
la nostra Costituzione del 1948 rispecchia anche il fatto che ci fossero anche rifugiati
italiani, durante il fascismo, no? Come la Costituzione tedesca del 1949 rispecchia
il fatto che ci fossero tanti rifugiati – e non solo ebrei – durante il nazismo, che
avevano dovuto lasciare la Germania per salvare la pelle. Quindi, anche questa memoria
storica che abbiamo in tanti Paesi in Europa sembra che man mano si sia persa, e quindi
dobbiamo fare anche un lavoro culturale, non solo legislativo o giuridico, per ricordare
questa nostra Storia. L’altro aspetto è che in tutto questo processo di cinque anni
c’è stato un orientamento forte, da parte dei governi riuniti nel Consiglio dei ministri
interno, a Bruxelles, per fare il possibile affinché non si possa fare un uso sbagliato
del sistema di asilo, quindi per impedire che un immigrato che non ha i documenti
in regola per l’ingresso possa fare un uso strumentale dell’asilo per garantirsi l’ingresso
e per non essere subito rimandato a casa, o anche per avere un periodo di accoglienza.
Quindi, questo orientamento di prevenzione dell’uso indebito dell’asilo alla fine
ha preso il sopravvento.
D. – Si viene da decenni di governi italiani che spesso
sono stati criticati dal Cir. Oggi, al nuovo governo Letta, cosa chiedete che faccia
per alzare lo standard di accoglienza?
R. – Innanzitutto, bisogna garantire
comunque ciò che dice la normativa comunitaria, e cioè che i richiedenti asilo debbano
avere un luogo d’accoglienza, e questo oggi non sempre avviene, o spesso avviene dopo
mesi di attesa. Cosa succede in questi mesi? Dove vanno? Dove campano? Quindi, questa
è una cosa da affrontare assolutamente. Bisogna unificare in un’unica cabina di regia
i vari sistemi e sotto-sistemi di accoglienza che esistono con gestori diversi e dove
non c’è chiarezza tra la primissima accoglienza – anche d’emergenza, se vogliamo,
come in questi giorni a Lampedusa – procedere verso un’accoglienza più qualificata
che prepari il terreno all’integrazione. La seconda richiesta è di istituire un programma
nazionale di integrazione per chi è stato riconosciuto come avente diritto di rimanere
come rifugiato, o di avere la protezione e quindi di facilitare il suo avviamento
al lavoro, all’alloggio, alla scolarizzazione dei bambini e, naturalmente, come prima
condizione, un vero apprendimento della lingua italiana. Un tale programma a livello
nazionale a tutt’oggi non esiste. Bisogna includere certamente anche le amministrazioni
regionali in un tale sistema di integrazione. Anche in questo caso ovviamente parliamo
di corsi di formazione professionale, di riqualificazione professionale, affinché
le persone possano effettivamente avere accesso al difficilissimo mercato del lavoro.
Certamente, non vogliamo favorire il rifugiato rispetto al cittadino italiano che
cerca lavoro, vogliamo semplicemente che ci sia una parità di condizioni e questa
parità in questo momento non esiste assolutamente. Vorrei sottolineare che questo
non necessariamente richiede nuovi stanziamenti di fondi, ma un utilizzo più efficace
dei fondi comunitari e nazionali esistenti e a disposizione.