Mons. Zenari: la comunità internazionale spinga al più presto per una soluzione politica
in Siria
Peggiora sempre di più la situazione in Siria, a causa di una guerra che ormai non
risparmia nessuno e che ogni giorno causa decine di morti in tutto il Paese. Nonostante
l’escalation di violenza, la comunità internazionale non riesce a giungere ad una
soluzione politica. Anche il G8, appena concluso in Irlanda del Nord, non ha portato
a risultati concreti. Salvatore Sabatino ne ha parlato con mons.Mario
Zenari, nunzio apostolico a Damasco, in questi giorni a Roma, per la plenaria
della Roaco:
R. – Purtroppo,
la strada – si sa – è in salita, una salita molto ardua, e naturalmente quello che
ci aspettiamo dalla comunità internazionale è che aumenti un po' l’incoraggiamento
o anche la pressione sulle parti in conflitto, perché chi ne sta pagando le spese
è la povera gente e lì sul terreno vediamo che ogni giorno che passa la situazione
si deteriora e la povera gente ormai patisce: patisce enormemente le conseguenze di
questi due anni e più di conflitto.
D. – La comunità internazionale si presenta
divisa: alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia spingono
per dare aiuti diretti in armi ai ribelli. Questo non rischia, poi, di peggiorare
la situazione, considerando che le armi potrebbero finire nelle mani degli islamisti?
R.
– Dal nostro punto di vista cristiano, direi, che è un po’ l’opposto di quello che
noi ci auguriamo che sarebbe piuttosto cercare di arrivare ad un disarmo degli uni
e degli altri. Su questa strada credo che non si possa sperare granché, anzi: potrebbe
complicare le cose! Come dico, una cosa è vincere la guerra e un’altra cosa è vincere
la pace. Insomma, quello che si deve cercare di ottenere è vincere la pace e quindi
terminare con buoni compromessi, con una buona soluzione politica questo conflitto.
Questa è l’unica via: altre vie credo possano arrivare a complicare le cose.
D.
– Lei ha lasciato Damasco solo da qualche giorno; poco tempo fa lei ha parlato di
una situazione in cui “si camminava sulle macerie e sul sangue”: quale situazione
ha lasciato ora?
R. – Direi che purtroppo la situazione è la stessa, anzi,
si è aggravata. Ogni volta che vengo a Roma, vado sulla tomba di San Pietro e mi vedo
quasi la faccia di San Pietro, molto preoccupato, anche un po’ inorridito, che mi
dice: “Caro nunzio, ma che cosa sta succedendo là, dalle mie parti, dove sono passato,
in Antiochia, dove ho predicato il Vangelo, dove è incominciata l’evangelizzazione
… nel Medio Oriente, che cosa sta mai succedendo?”. E mi sembra che lui stia vedendo
le tracce di sangue che, purtroppo, anche camminando per Damasco mi si attaccano alle
scarpe che sono le scarpe che porto andando al suo sepolcro … Ecco, io sento questa
preoccupazione da parte di San Pietro …
D. – Lei sta partecipando ai lavori
della Roaco. C’è un’attenzione particolare, immagino, tra i delegati, rispetto alla
situazione in Siria. Ne avete già parlato?
R. – Sì: ci sono le agenzie che
aiutano, che sono coscienti della gravità della situazione. Quello che si cerca di
ottenere è un migliore coordinamento. Direi che l’idea che rimbalza è cercare di coordinare
gli aiuti. Come si sa, abbiamo tanta gente che aiuta, tanti cristiani, tanta gente
di buona volontà che dà a queste agenzie cattoliche internazionali … Se posso aggiungere
una cosa: abbiamo una rete, sul posto, per arrivare in tanti luoghi. Abbiamo parrocchie,
congregazioni religiose, diocesi sparse un po’ ovunque e appoggiandoci su questa rete
cerchiamo di fare arrivare gli aiuti il più possibile in tutti i luoghi della Siria.
Aggiungerei una cosa molto, molto importante: oltre agli aiuti materiali che si riesce
a dare e che sono necessari e a volte molto urgenti – cibo, medicine, soccorsi di
diverso genere – c’è anche la presenza di vescovi, sacerdoti, preti, laici impegnati;
e questo, la nostra presenza sul posto, fa una grande differenza: è un plusvalore
incalcolabile, perché dà fiducia, da sostegno sia ai cristiani sia anche alle persone
di altre religioni, anche ai musulmani.
D. – Quindi i cristiani possono avere,
oggi, un ruolo di riconciliazione nel Paese? Quei cristiani che sono sempre stati
importantissimi per il mantenimento degli equilibri?
R. – Direi che sì, questa
è la loro vocazione che io ho ricordato più volte dall’inizio di questo conflitto:
questa vocazione di fare da ponte a cui hanno risposto bene nel corso di tutta la
storia della Siria. Prima del conflitto ho avuto la possibilità di visitare diversi
villaggi, e vedevo: dove i villaggi sono misti, dove ci sono mescolati insieme nello
stesso villaggio musulmani e cristiani o persone di altre religioni, questi villaggi
vivono in pace, quindi riconoscono che i cristiani sono gente aperta, non sono fanatici,
è gente con cui si può vivere …