G8: convergenza sulla lotta all’evasione fiscale, elusione e riciclaggio
Lotta all’evasione, elusione e riciclaggio. Sono le sfide economiche lanciate dal
G8 di Lough Erne, in Irlanda del Nord, che si è chiuso martedì. I leader hanno stilato
un decalogo in cui si rimarca la necessità di lottare contro “i paradisi fiscali”,
creando uno standard globale per lo scambio automatico d’informazioni. Richiesta anche
la massima trasparenza fiscale alle multinazionali e maggiore collaborazione con l'Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico. Massimiliano Menichetti ha raccolto
il commento di Carlo Secchi professore emerito di politica economia alla Bocconi
di Milano:
R. – L’accordo
desta grande interesse ed ha prospettive positive. Lo scambio di informazioni internazionali
si sta instaurando come regola normalmente seguita all’interno dell’Unione Europea.
E gli Stati Uniti, da questo punto di vista negli ultimi anni, si sono dimostrati
molto determinati. Ricordiamo tutti ad esempio le azioni Usa contro le banche svizzere,
non ancora del tutto concluse, volte proprio ad ottenere quelle informazioni che sono
indispensabili dal punto di vista fiscale, per una corretta gestione dei rapporti
tra i contribuenti ed il fisco dei vari Paesi.
D. – Secondo lei sarà possibile
quindi riuscire a chiudere i cosiddetti “paradisi fiscali”?
R. – Questo è solo
l’inizio del lavoro in quanto la decisione presa nell’ambito del G8, che riguarda
i Paesi che partecipano, potrà essere sottoscritta anche nell’ambito del G20 di luglio
e io credo che sicuramente sarà così. Però sappiamo che i “paradisi fiscali” si annidano
anche presso piccoli Stati che non appartengono a questo tipo di consessi e cercheranno
di resistere. Bisognerà verificare quanto la capacità di persuasione sul piano politico
e quello economico da parte dei grandi Stati – Stati Uniti da un lato ed Unione Europea
dall’altro – produrrà effetti. Bisognerà attendere risultati efficaci. Tra l’altro,
la stessa Unione Europea al proprio interno deve ancora mettere ordine, risolvere
“paradisi fiscali” veri e propri: le Isole del Canale della Manica che dipendono a
questo punto vista dal Regno Unito, i problemi di Andorra non ancora del tutto risolti,
San Marino, Monte Carlo…
D. – Si chiede trasparenza fiscale nei confronti delle
multinazionali, si lavorerà ad un modello comune con cui le aziende potranno comunicare
alle autorità fiscali dove vanno a finire i profitti e dove pagano le tasse…
R.
– Il problema è particolarmente cruciale negli Stati Uniti: abbiamo tutti letto delle
modalità elusive poste in atto da alcune grandi multinazionali, che per certi aspetti
sono citate come esempio, ma non certamente nel campo del buon adempimento dei doveri
fiscali. Anche in Europa abbiamo avuto alcuni casi. Credo che una sorta di statuto,
accettato a livello internazionale, sia una cosa più che ragionevole che debba essere
ben accolto da tutti coloro che ritengono che l’equa ripartizione del carico fiscale
sia nell’interesse di tutti.
D. – Una dichiarazione di impegno anche nei confronti
dei Paesi in via di sviluppo che devono avere le informazioni, e viene ribadito; e
la capacità di recuperare le tasse che gli sono dovute e gli altri Paesi devono aiutarli…
R.
– Non sarà certamente un cammino facile, però è evidente che il principio fondamentale
per cui la tassazione debba avvenire nella località, nello Stato dove si produce la
ricchezza di cui si tratta, credo che sia un principio che debba essere imposto a
livello mondiale.
D. – L’importanza della crescita e del lavoro: queste misure
serviranno anche a questo rilancio?
R. – Credo proprio di sì, perché uno dei
problemi con cui si confrontano tutti gli Stati – avanzati e meno avanzati dal punto
di vista economico – è proprio quello della scarsità di risorse da dedicare alla crescita
in una situazione dove prevale inevitabilmente l’obiettivo di rimettere apposto i
conti pubblici.