Accordo in Mali: i ribelli del Nord accettano il cessate il fuoco per il voto presidenziale
Accordo in Mali tra il governo di transizione e i ribelli tuareg che occupano Kidal,
nel Nord del Paese africano. L'accordo è stato firmato nel palazzo presidenziale del
Burkina Faso, impegnato in una mediazione nella crisi maliana che va avanti in diverso
modo da marzo 2012. Il servizio di Fausta Speranza:
Primo punto:
il cessate il fuoco in vista delle elezioni presidenziali fissate per il 28 luglio.
E i ribelli tuareg che da tempo insidiano il potere centrale nel Nord si impegnano
a far tornare l’armata regolare nella città di Kidal, ultima roccaforte. La crisi
scoppia a marzo 2012 quando un colpo di Stato militare depone l’allora presidente
Tourè, accusato di non saper gestire la ribellione al Nord. Ma l’offensiva dei tuareg
e degli islamisti non si ferma, tanto che a gennaio 2013 l’Onu autorizza l’operazione
di forza multinazionale guidata dalla Francia. Ora la transizione dovrebbe concludersi
con il voto presidenziale. Poi ci sarà da fare i conti con quanto successo in tutti
questi mesi nel Nord: l’accordo, che non parla dell’incriminazione dei leader della
ribellione, prevede invece la creazione di una commissione di inchiesta internazionale
su crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ma c’è da dire che le Nazioni Unite
denunciano anche la detenzione nelle carceri regolari del Mali di bambini, per presunta
collusione con gli estremisti.
La maggior parte della popolazione ha accolto
in maniera favorevole l’accordo di pace, perché "vuole il rapido ritorno della normalità",
afferma all’Agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza
Episcopale del Mali, spiegando però che c'è una parte dell’opinione pubblica che avrebbe
voluto anche l'immediato disarmo degli uomini dei gruppi ribelli del Nord. Per una
valutazione dell'accordo e della situazione in Mali, Fausta Speranza ha intervistato
Anna Bono, africanista dell'Università di Torino:
R. – E’, se
non altro, un passo indispensabile, soprattutto per riuscire a rendere credibili le
elezioni imminenti che dovrebbero essere un traguardo – questo sì, è davvero importante
– verso la stabilizzazione del Paese e la risoluzione di una crisi che ormai dura
da molto tempo, una crisi che è il risultato di un colpo di Stato e, prima ancora,
della divisione in due del territorio del Mali quando l’anno scorso, prima i ribelli
tuareg indipendentisti e poi alcuni gruppi jihadisti, hanno occupato il Nord incluse
le tre principali città, le capitali dell’immenso Nord di questo Paese.
D.
– Da marzo 2012, dal colpo di Stato, praticamente questa situazione di transizione
è stata gestita dalla giunta militare. Che ruolo immaginare nella campagna elettorale
che ci sarà, in vista del voto del 28 luglio?
R. – Il problema è molto delicato
e, anzi, è forse il problema del momento. Le popolazioni del Mali – questa è una precisazione
importante – sono storicamente divise in due: a Nord abitano popolazioni tuareg e
affini, al Sud etnie diverse, in conflitto tra di loro soprattutto da quando il potere
politico del Paese è nelle mani delle popolazioni del Sud. Il Nord teme che il controllo
delle elezioni, grazie all’ingresso dell’esercito dal Sud - per far sì che le elezioni
si svolgano in modo regolare - soprattutto a Kidal, l’ultimo dei capoluoghi del Nord
ancora in mano ai ribelli, crei una situazione pericolosissima per le popolazioni
del Nord. In altre parole, si temono vendette, ritorsioni, violenze nei confronti
delle popolazioni del Nord. La giunta militare gode del sostegno di una parte dell’esercito,
e anche questo è motivo di contrasto e di conflitto. Cioè, da quando c’è stato il
colpo di Stato una parte dell’esercito e delle forze politiche ha appoggiato la giunta,
un’altra parte no. Questo ha avuto ripercussioni anche sulle vicende militari: infatti,
c’è voluto del tempo perché venissero accettate da tutte le forze politiche e militari
le milizie africane e straniere in generale che sono poi state decisive nel cacciare
dal Nord i movimenti armati che lo avevano occupato.
D. – Lei ci ha parlato
di una divisione etnica della popolazione tra Sud e Nord, ma c’è anche l’elemento
islamista al Nord …
R. – Naturalmente. I movimenti che hanno preso il potere,
poi, per mesi nel Nord, sono tre movimenti jihadisti che hanno approfittato del successo
del Movimento tuareg separatista, l’Mnla, per poi prendere a loro volta il controllo
delle tre capitali e praticamente di tutto il territorio. Va detto che questi tre
movimenti si sono poi ancora ulteriormente suddivisi, scissi e solo una parte delle
forze in campo ha accettato di firmare questo accordo. Sono gruppi importanti, ma
non sono tutti. Uno dei rischi in Mali, come già sta succedendo ed è successo in altri
Paesi, è sempre questo: cioè che un movimento nasce, poi si suddivide, si fraziona
rendendo sempre più difficile portare tutte le parti in causa al tavolo dei negoziati
e quindi assicurare che poi gli accordi presi vengano effettivamente rispettati.