2013-06-19 13:26:46

Accordo in Mali: i ribelli del Nord accettano il cessate il fuoco per il voto presidenziale


Accordo in Mali tra il governo di transizione e i ribelli tuareg che occupano Kidal, nel Nord del Paese africano. L'accordo è stato firmato nel palazzo presidenziale del Burkina Faso, impegnato in una mediazione nella crisi maliana che va avanti in diverso modo da marzo 2012. Il servizio di Fausta Speranza: RealAudioMP3

Primo punto: il cessate il fuoco in vista delle elezioni presidenziali fissate per il 28 luglio. E i ribelli tuareg che da tempo insidiano il potere centrale nel Nord si impegnano a far tornare l’armata regolare nella città di Kidal, ultima roccaforte. La crisi scoppia a marzo 2012 quando un colpo di Stato militare depone l’allora presidente Tourè, accusato di non saper gestire la ribellione al Nord. Ma l’offensiva dei tuareg e degli islamisti non si ferma, tanto che a gennaio 2013 l’Onu autorizza l’operazione di forza multinazionale guidata dalla Francia. Ora la transizione dovrebbe concludersi con il voto presidenziale. Poi ci sarà da fare i conti con quanto successo in tutti questi mesi nel Nord: l’accordo, che non parla dell’incriminazione dei leader della ribellione, prevede invece la creazione di una commissione di inchiesta internazionale su crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Ma c’è da dire che le Nazioni Unite denunciano anche la detenzione nelle carceri regolari del Mali di bambini, per presunta collusione con gli estremisti.

La maggior parte della popolazione ha accolto in maniera favorevole l’accordo di pace, perché "vuole il rapido ritorno della normalità", afferma all’Agenzia Fides don Edmond Dembele, segretario generale della Conferenza Episcopale del Mali, spiegando però che c'è una parte dell’opinione pubblica che avrebbe voluto anche l'immediato disarmo degli uomini dei gruppi ribelli del Nord. Per una valutazione dell'accordo e della situazione in Mali, Fausta Speranza ha intervistato Anna Bono, africanista dell'Università di Torino:RealAudioMP3

R. – E’, se non altro, un passo indispensabile, soprattutto per riuscire a rendere credibili le elezioni imminenti che dovrebbero essere un traguardo – questo sì, è davvero importante – verso la stabilizzazione del Paese e la risoluzione di una crisi che ormai dura da molto tempo, una crisi che è il risultato di un colpo di Stato e, prima ancora, della divisione in due del territorio del Mali quando l’anno scorso, prima i ribelli tuareg indipendentisti e poi alcuni gruppi jihadisti, hanno occupato il Nord incluse le tre principali città, le capitali dell’immenso Nord di questo Paese.

D. – Da marzo 2012, dal colpo di Stato, praticamente questa situazione di transizione è stata gestita dalla giunta militare. Che ruolo immaginare nella campagna elettorale che ci sarà, in vista del voto del 28 luglio?

R. – Il problema è molto delicato e, anzi, è forse il problema del momento. Le popolazioni del Mali – questa è una precisazione importante – sono storicamente divise in due: a Nord abitano popolazioni tuareg e affini, al Sud etnie diverse, in conflitto tra di loro soprattutto da quando il potere politico del Paese è nelle mani delle popolazioni del Sud. Il Nord teme che il controllo delle elezioni, grazie all’ingresso dell’esercito dal Sud - per far sì che le elezioni si svolgano in modo regolare - soprattutto a Kidal, l’ultimo dei capoluoghi del Nord ancora in mano ai ribelli, crei una situazione pericolosissima per le popolazioni del Nord. In altre parole, si temono vendette, ritorsioni, violenze nei confronti delle popolazioni del Nord. La giunta militare gode del sostegno di una parte dell’esercito, e anche questo è motivo di contrasto e di conflitto. Cioè, da quando c’è stato il colpo di Stato una parte dell’esercito e delle forze politiche ha appoggiato la giunta, un’altra parte no. Questo ha avuto ripercussioni anche sulle vicende militari: infatti, c’è voluto del tempo perché venissero accettate da tutte le forze politiche e militari le milizie africane e straniere in generale che sono poi state decisive nel cacciare dal Nord i movimenti armati che lo avevano occupato.

D. – Lei ci ha parlato di una divisione etnica della popolazione tra Sud e Nord, ma c’è anche l’elemento islamista al Nord …

R. – Naturalmente. I movimenti che hanno preso il potere, poi, per mesi nel Nord, sono tre movimenti jihadisti che hanno approfittato del successo del Movimento tuareg separatista, l’Mnla, per poi prendere a loro volta il controllo delle tre capitali e praticamente di tutto il territorio. Va detto che questi tre movimenti si sono poi ancora ulteriormente suddivisi, scissi e solo una parte delle forze in campo ha accettato di firmare questo accordo. Sono gruppi importanti, ma non sono tutti. Uno dei rischi in Mali, come già sta succedendo ed è successo in altri Paesi, è sempre questo: cioè che un movimento nasce, poi si suddivide, si fraziona rendendo sempre più difficile portare tutte le parti in causa al tavolo dei negoziati e quindi assicurare che poi gli accordi presi vengano effettivamente rispettati.

Ultimo aggiornamento: 20 giugno







All the contents on this site are copyrighted ©.