Organizzazioni civili afghane incontrano a Roma i giornalisti: lanciata la "Campagna
30%"
Incontro ieri a Roma tra esponenti di diverse organizzazioni della società civile
afghana e i giornalisti per fare il punto sul processo di ricostruzione, di sviluppo
e di riconciliazione nazionale in corso in Afghanistan. In particolare, la delegazione
ha illustrato le attività di formazione e di sostegno alla popolazione locale finanziate
dal Ministero degli Affari esteri italiano e affidate alla rete di Ong “Afgana”. A
coordinare i lavori il portavoce della rete, Emanuele Giordana che, al microfono
di Adriana Masotti, fotografa così l’Afghanistan di oggi:
R. - La società
in generale è una società, per molti aspetti, ancora arretrata - secondi i nostri
canoni - soprattutto nelle realtà rurali. Nelle città le cose sono diverse, perché
molto dello sforzo civile, che ha accompagnato la campagna bellica, si è concentrato
nelle città e quindi l’accesso allo studio è maggiormente garantito: tantissimi giovani,
soprattutto ragazze, possono oggi andare non solo al liceo, ma anche all’università.
E oggi il burqa, questo terribile indumento per noi, a Kabul è quasi difficile vederlo.
Poi c’è l’aspetto che riguarda la società civile organizzata e questa è la novità:
la crescita dell’associazionismo che ha come obiettivo lo sviluppo e la dignità dell’intera
società afghana. Penso, solo per dirne una, che potrà sembrare strana, alle associazioni
di poeti, che in Afghanistan sono fortissime e che sono - in questo caso la poesia
- strumento di dialogo, anche di critica e di confronto. Poi naturalmente ci sono
organizzazioni che lottano per la difesa dei diritti umani, per la difesa dei diritti
delle donne, anche perché lì si è riversato molto del finanziamento occidentale, creando
anche qualche problema e cioè l’abitudine, per alcune organizzazioni, a rispondere
soprattutto alla domanda di chi dà i soldi, il quale molto spesso si cura molto di
più di fare la sua bella figura nella società afghana che non di domandare quale sia
l’esigenza reale della società.
D. - E proprio una delegazione di queste associazioni,
di questa società civile organizzata afghana è venuta in Italia e oggi, a Roma, ha
incontrato i giornalisti, nell’ambito di un progetto: un progetto che riguarda che
cosa?
R. – Quello di rafforzare il ruolo della civiltà civile afghana in Afghanistan.
Uno dei modi per rafforzarla è stato creare una serie di incontri - sui temi che vanno
dal diritto di cittadinanza ai beni comuni, all’acqua pubblica, ai temi della difesa
del lavoro, ai temi naturalmente della dignità della donna - in cui rappresentanti
dell’associazionismo italiano sono andati a incontrare attivisti dei vari movimenti
in Afghanistan o semplicemente studenti. Incontri che si sono svolti a Kabul, a Jalalabad,
a Mazar Sharif, che sono poi culminati in una sessione accademica all’Università di
Herat, dove erano presenti ricercatori italiani, afghani e stranieri, per fare un
po’ il punto sugli studi che stanno nascendo in questo periodo e che riguardano proprio
la società civile afghana.
D. - La Rete Afgana lancia anche una campagna:
la “Campagna 30%”, che fa riferimento a quando ci sarà il ritiro definitivo dei militari
italiani dall’Afghanistan…
R. – Esatto! Abbiamo rilanciato questa idea, che
è quella per cui per ogni euro risparmiato col ritiro delle truppe - la spesa militare,
lo ricordo, è stata fino adesso di circa due milioni di euro al giorno – di questo
euro 30 centesimi devono essere rinvestiti in attività che riguardano il civile: dunque
le infrastrutture o gli ospedali o le scuole… Ci rendiamo conto che è una campagna
difficile, ma abbiamo notato - proprio in questi giorni - che l’idea si fa strada
fra molti dei nostri parlamentari. Speriamo che questo, alla fine, si trasformi in
nuove forme di finanziamento, di cooperazione civile di cui abbiamo bisogno dopo dieci
anni, in cui abbiamo pensato soltanto e quasi esclusivamente all’aspetto militare.
D. - Non c’è il timore che dopo tanti sforzi, quando il supporto militare
non ci sarà più, il Paese ripiombi nel conflitto? La presenza talebana è ancora forte…
R.
- Quello che io ho registrato nei miei viaggi in Afghanistan e quello che è stato
detto proprio in queste riunioni dai nostri ospiti afghani è che in realtà non c’è
il timore di una nuova guerra civile, una volta che sarà completato il ritiro. Bisogna
anche pensare che adesso c’è un esercito e una polizia che constano di 350 mila effettivi.
Ci dicevano oggi i nostri amici afghani che il consenso ai talebani sarebbe attorno
al 7 per cento, quindi basso. Il vero timore, però, è questo: che l’Afghanistan venga
abbandonato non soltanto nelle mani dei talebani, ma anche ai grandi giochi che continuano
a farsi attorno a questo Paese da parte degli Stati confinanti. Dicono gli afghani:
“Non ci dovete abbandonare, perché non dobbiamo tornare ad essere vittima del “grande
gioco”, per cui alla fine ogni Paese gioca la carta Afghanistan per i suoi interessi
particolari”. Ultimo aggiornamento: 19 giugno