Turchia:ancora scontri. Erdogan pensa all'uso dell'esercito contro i manifestanti
Turchia ancora nel caos con nuovi scontri ad Ankara ed Instanbul. Il premier Erdogan
ha detto di non riconoscere il Parlamento Ue, che ha approvato uno risoluzione contro
la brutalità della polizia, quindi ha minacciato l'impiego dell’esercito per reprimere
le proteste. Ieri sera i due principali sindacati che hanno proclamato lo sciopero
generale, hanno deciso di rinunciare a tenere un comizio in piazza Taksim, per evitare
il bagno di sangue. Cecilia Seppia:
La decisione
di Bruxelles contro l’operato della polizia turca a Gezi Park, non piace al premier
Erdogan che ribadisce: non riconosco il Parlamento Europeo e non penso che qui abbia
voce in capitolo. A stretto giro la replica del presidente dell’Europarlamento Shulz
che affonda: Erdogan pensi alla pace e non a screditarci. Dal canto suo il Consiglio
d’Europa che ha invitato le parti al dialogo ha poi definito non necessario l’uso
dei gas lacrimogeni sulla folla. Dura anche la reazione della Cancelliera tedesca
Merkel che si è detta scioccata per le violenze. D’altra parte però la protesta non
si ferma, anche oggi le forze dell’ordine hanno ingaggiato scontri con i manifestanti
sia ad Ankara che ad Instanbul. “Le rivolte - ha detto il vicepremier Arinc - sono
ben oltre la legalità se dovessero continuare siamo pronti schierare l’esercito”.
Poi in serata ha annunciato l’avvio di un'inchiesta per verificare se c’è stato uso
eccessivo della forza da parte della polizia, in determinanti incidenti. Illegale,
per il governo è anche lo sciopero indetto dai due principali sindacati, che hanno
esortato i lavoratori a scendere in piazza, ma a stare lontani da piazza Taksim ancora
sotto presidio, per evitare, un nuovo bagno di sangue. A preoccupare la comunità internazionale
poi l’ondata massiccia di arresti, più di 600 nelle ultime ore tra cui 7 giornalisti.
La Farnesina segue invece da vicino la vicenda di Daniele Stefanini, il fotoreporter
picchiato a manganellate e fermato in piazza Taskisim.
Come potrà il premier
Erdogan mettere fine all’empasse in cui si trova il Paese? Benedetta Capelli
lo ha chiesto a Marco Ansaldo, inviato de “La Repubblica” ad Istanbul:
R. - La Turchia
è spaccata in due: c’è una Turchia che si riunisce intorno al suo leader, che ha dei
valori religiosi molti forti, ma che tendono poi ad avere la prevalenza, diventando
anche leggi dello Stato; questo è il suo tentativo. A questo intendimento, si contrappone
- invece - l’altra Turchia più democratica, più vicina all’Occidente, sicuramente
più laica che, pur essendo al 99 percento musulmana, non vuole sottostare a imposizioni,
soprattutto da un punto di vista religioso, che dopo dieci anni tendono a diventare
prevalenti.
D. - Come mai, Erdogan ha criticato fortemente anche i giornalisti
stranieri?
R. - Erdogan finge, oppure non mostra di voler capire quali sono
davvero gli umori della piazza che non vuole più sottostare a determinate imposizioni.
E allora il riflesso qual è? Lo ha dimostrato pienamente ieri, in questo mega raduno
organizzato alla periferia di Istanbul, prendendosela non soltanto con l’opposizione,
ma soprattutto con i media - visto che molti media locali ahimè hanno problemi
di censura o di autocensura -, soprattutto con quelli stranieri, che invece stanno
facendo un lavoro di copertura eccellente. In questo blocco di media turchi tradizionali
un lavoro capillare è stato fatto dalle piccoli emittenti radiofoniche, i social network,
Twitter… Quindi, i media turchi, che sono nati in maniera artigianale dopo questa
rivolta, hanno colto pienamente gli umori, cercando di trasmetterli alle persone che
quasi con un tam tam lasciavano perdere gli organi tradizionali di informazione
cercando di informarsi via web di quello che accadeva davvero a Piazza Taksimo
al Gezi Park.
D. - Quali sono, secondo te, gli strumenti che ha a disposizione
Erdogan per uscire da questa empasse?
R. - Erdogan lo sta dimostrando con un
pugno di ferro. È determinato ad andare avanti. Il problema non è tanto l’Islam, ma
è l’autoritarismo. Mi chiederei piuttosto cosa può fare la piazza. Io sto cogliendo
degli umori di disincanto nella folla che ormai non trova più un punto di riferimento
logistico, perché Piazza Taksim è stata evacuata ed oggi è tornata quasi alla normalità;
il Gezi Park continua ad essere occupato dalla polizia, quindi la gente non solo non
ha un leader in questa protesta, ma non sa più nemmeno dove ritrovarsi. Da qui bisogna
ripartire per vedere come si convoglierà la rivolta nei confronti di colui che lo
fa arrabbiare e che molti qui definiscono “il sultano”.
D. - A livello internazionale,
come esce la figura di Erdogan che in passato si era sempre proposto come un interlocutore
credibile ed affidabile?
R. - Molto male. Intendiamoci, Erdogan ha avuto dei
meriti straordinari: ha portato il Paese a livelli economici formidabili, con un Pil
che negli ultimi anni ha superato addirittura quello della Cina, ha fatto della Turchia
un faro per il mondo circostante – l’ex Repubblica sovietica, il Caucaso, una buona
parte del Medio Oriente, il nord dell’Africa, i Balcani -, è sempre un Paese candidato
all’ingresso nell’Unione Europea, seppur con tante difficoltà. Quindi i due lustri
di Erdogan al potere sono stati sicuramente molto importanti, però il pugno di ferro
che ha usato per stroncare la rivolta, il non capire le ragioni della parte politica
che non lo ha votato, sicuramente gli costano, da questo punto in poi, molto sul piano
dell’affidabilità e della credibilità. Io credo che i leader europei ed occidentali
credano molto nella Turchia; da oggi, molto meno nel suo leader attuale.