Giornata mondiale del Bambino Africano: vittima delle più disagiate condizioni al
mondo
Si è celebrata ieri, come ogni anno dal 1976, la Giornata mondiale del Bambino Africano
in ricordo delle giovani vittime del massacro di Soweto, in Sudafrica, durante una
manifestazione per il diritto all’istruzione contro l’apartheid. E’ l’occasione per
fare il punto sulla condizione dell'infanzia africana, la più numerosa sulla popolazione
totale, ma anche la più disagiata per indicatori di salute e benessere. Sono tutti
africani i 10 Paesi con il tasso di mortalità, sotto i 5 anni, più alto del mondo
e sono oltre 45 milioni i bambini della zona subsahariana che non frequentano la scuola.
Per non parlare di bambini vittime di violenze, come le mutilazioni genitali o i matrimoni
precoci. Lucas Duran ha intervistato Gianfranco Morino, chirurgo al
Neema Hospital di Nairobi, in Kenya, e tra i fondatori della World Friends Onlus,
che opera tra le fasce più deboli delle popolazioni africane con un obiettivo preciso:
R. – E’ proprio
questo cammino verso la soddisfazione di diritti umani fondamentali, cioè il diritto
alla salute, al cibo, all’abitazione e alla protezione sociale. Ed è un cammino ancora
veramente lungo. Ogni giorno – pensate – soltanto in Kenya sono 300 mila i ragazzi
sotto i 15 anni che vivono sulla strada.
D. – Chi sono i beneficiari, fondamentalmente,
della vostra azione, in particolare in Kenya?
R. – Sono tanti. Negli ultimi
anni ci siamo concentrati soprattutto sulla salute materno-infantile e sulla formazione
degli operatori socio-sanitari. Soltanto l’anno scorso, a livello di pazienti, il
“Neema”, questo ospedale che confina con le grandi baraccopoli a nordest di Nairobi,
che è cresciuto, ha avuto 115 mila pazienti, con la maternità che registrato circa
duemila parti al suo primo anno di attività, più altre decine di migliaia di ragazzi
coinvolti nei programmi all’interno delle baraccopoli: dal programma di riabilitazione
della disabilità, ai programmi di educazione sanitaria nelle scuole, fino a una delle
ultime iniziative che è una scuola di musica che ogni settimana coinvolge quasi 80-90
bambini.
D. – Quali sono attualmente gli obiettivi? Dove volete, dove potrete
arrivare?
R. – Da una parte, completare questo centro ospedaliero con la pediatria,
come pure continuare con la formazione.
D. – Voi state cercando anche di portare
assistenza anche a coloro che, magari, non possono arrivare fino al “Neema Hospital”,
grazie ai medical camps: di che si tratta?
R. – Ogni mese, in una baraccopoli
diversa, su richiesta della gente, si reca un team; in genere abbiamo 200-300 pazienti,
cure totalmente gratuite, visite gratuite, e poi il riferimento al “Neema” in caso
di bisogno. Il 70 per cento dei pazienti che incontriamo non hanno mai visto un medico
per motivi essenzialmente finanziari.
D. – Qual è la reazione da parte istituzionale?
R.
– Sicuramente noi – per tutto quello che facciamo – abbiamo l’approvazione dei vari
ministeri. La collaborazione è fondamentale e, nel tempo, anche l’apprezzamento. Dall’altra
parte, rimane il fatto di essere – pur non volendolo – competitori su quella che è
la medicina a Nairobi, perché l’altra parte della città, quella che se lo può permettere,
va in ospedali privati, con costi altissimi. Per cui, è una medicina fondamentalmente
commerciale. Tuttavia, a molti pazienti che vengono al “Neema” non interessano questi
ospedali perché o sono sieropositivi o non potrebbero assolutamente permettersi nessun
tipo di cura.
D. – Dr. Morino, quanto è cambiata – se è cambiata – la situazione
in meglio o in peggio, da quando lei è arrivato a Nairobi?
R. – Bè, io sono
arrivato nel 1986 e sicuramente per determinati aspetti sociali è cambiata in peggio:
sono aumentati gli abitanti delle baraccopoli, è aumentato il divario sociale … Tuttavia,
sicuramente sta nascendo – almeno da alcuni anni – una società civile di giovani,
anche ragazzi nati in baraccopoli. Se penso soltanto ad una parte di collaboratori
di World Friends, ad esempio i nostri responsabili del programma di educazione nelle
scuole, loro sono ragazzi che sono nati in baraccopoli e hanno saputo tirarsene fuori,
naturalmente con aiuto, anche, con borse di studio. Ritengo che sia questa la via
da seguire: riuscire comunque a investire sui giovani, sulla formazione; altrimenti
cade la speranza …