Sinodo della Chiesa caldea. Mons. Warduni: abbiamo bisogno di pace e riconciliazione
Si è tenuto nei giorni scorsi a Baghdad il primo Sinodo della Chiesa caldea presieduto
dal nuovo Patriarca, Sua Beatitudine Mar Louis Raphael I Sako. All’attenzione dei
14 vescovi partecipanti molti temi tra cui la riorganizzazione amministrativa della
Chiesa stessa, il rapporto con le altre appartenenze religiose, la mancanza di lavoro
e di sicurezza in Iraq. Al termine dei lavori, il Patriarca ha invitato tutti gli
esponenti religiosi e politici ad un ricevimento quale momento simbolico di pacificazione
nazionale. Sull’esperienza vissuta durante il Sinodo sentiamo, al microfono di Adriana
Masotti, mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad:
R.
- E' stato un momento felice e pieno di gioia, perché da lungo tempo non ci ritrovavamo
tutti insieme, come è stato questa volta. E’ stato un momento di dialogo sincero e
aperto, con tanta libertà. L’obiettivo era il bene della Chiesa e la Chiesa caldea
ha veramente bisogno perché ha sofferto veramente tanto, tanto, tanto.
D.
- I vescovi caldei, tra l’altro, hanno auspicato anche la ripresa del cammino ecumenico
tra tutte le Chiese presenti in Iraq. Su questo punto cosa è emerso?
R. - Certamente
è un argomento molto caro a tutti quanti. Dobbiamo essere aperti a tutti e in dialogo
con tutte le Chiese e poi con le altre comunità cristiane. Noi abbiamo voluto insistere
specialmente sul rapporto con la Chiesa antica, quella dell’Oriente: questo perché
noi abbiamo la stessa liturgia, la stessa lingua, le stesse tradizioni. Ma è importante
anche il dialogo con le altre religioni, come l’islam che rappresenta la maggioranza
assoluta in Iraq. E’ questo dialogo e questa unità che noi aspettiamo, auspichiamo
e cerchiamo di vivere come possiamo.
D. - Durante i lavori del Sinodo si è
parlato anche dell’emergenza lavoro e della diaspora dei cristiani iracheni. Due problemi
legati, in qualche modo…
R. - Penso che in tutto il Medio Oriente, ma in modo
speciale da noi, c’è mancanza di sicurezza e poi mancanza del lavoro. Molti dicono:
chi garantisce la nostra vita, la vita dei nostri figli, il loro futuro, il loro lavoro?
Ciascuno di noi ha dato quindi il proprio parere, cercando di analizzare questo problema
e se fosse possibile fare qualcosa, sia attraverso il nostro governo che attraverso
gli altri governi, per cercare di far ritrovare la pace all’Iraq. Poi chiediamo al
nostro governo di trovare un lavoro per i nostri figli.
D. - C’è preoccupazione
da parte della comunità internazionale per l’Iraq che non è ancora pacificato. So
che al termine del Sinodo, il Patriarca ha invitato a un ricevimento tutti gli esponenti
politici e religiosi del Paese, come simbolo di riconciliazione…
R. - Certo:
è stato alla fine del Sinodo e i capi delle comunità e delle Chiese orientali irachene
erano tutti presenti. E' stata una cosa positiva, molto positiva e speriamo che le
cose andranno avanti per la pace dell'Iraq e per il bene degli iracheni. Noi diciamo
a tutti quanti di pregare per la pace, come facciamo ormai da tanti anni, e invitiamo
specialmente le altre nazioni a non vendere le armi: così facendo mettiamo benzina
sul fuoco! Perciò dobbiamo avere una coscienza retta per poter fare il bene di tutti.