Erdogan respinge le critiche europee sulla violenza spropositata contro i manifestanti
Il premier turco Erdogan respinge le critiche rivolte al governo di Ankara fra l'altro
per l'uso ''sproporzionato ed eccessivo della forza'' espresse in una risoluzione
votata dall'Europarlamento oggi. ''Non riconosco alcuna decisione presa sulla Turchia
dall'Europarlamento'', ha affermato. Ildocumento all'esame dei deputati di Strasburgo
deplora inoltre ''le reazioni del governo turco e del premier Erdogan''. Questa mattina
si registra una calma piena di tensione a Piazza Taksim a Istanbul e per le strade
di Ankara, dove ieri sera sono stati usati ancora i lacrimogeni contro i manifestanti.
Il premier turco ha incontrato una delegazione della società civile, ha lanciato un
ultimatum sull’occupazione, ma nello stesso tempo ha aperto ad un referendum sul progetto
di sviluppo di Gezi Park simbolo delle proteste. Appello alla calma dal presidente
turco Gul, Onu e Ue. Il servizio di Fausta Speranza:
Gezi Park va
sgomberato subito, altrimenti i manifestanti “dovranno affrontare la polizia”: questo
l'ultimatum di Erdogan. Poi però il gesto di apertura: l’ìpotesi di un referendum
sul progetto di distruzione del parco stesso. L'annuncio, dopo il colloquio tra il
premier e 11 artisti e universitari presentati come “rappresentanti della società
civile”. Ma la cosiddetta Piattaforma che riunisce i 116 movimenti che partecipano
alla protesta, risponde di non essere stata invitata e di sentirsi presa in giro.
Intanto dopo le otto ore di scontri, nella notte tra martedì e mercoledì, tra i manifestanti
e i 3 mila poliziotti appoggiati da blindati e cannoni, arrivano le reazioni a livello
internazionale: il Consiglio d'Europa parla di “violenza inaccettabile” e sproporzionata.
La Casa Bianca chiede con forza il rispetto della libertà di espressione. Resta da
dire che in queste ore che sembrano decisive per diversi possibili sviluppi, l’Authority
governativa sulla Tv multa l’emittente privata che ha trasmesso in diretta dall'inizio
la protesta, censurata dal servizio pubblico per i “possibili danni allo sviluppo
fisico, morale e mentale di bimbi e giovani''.
La protesta sul parco è diventata
ormai un movimento anti Erdogan. Di altre scelte politiche contestate al premier del
partito Giustizia e sviluppo, Fausta Speranza ha parlato con Federico De
Renzi, analista politico che si occupa in particolare di Turchia:
R.
- Per quanto riguarda il referendum è molto probabile che si faccia, per quanto gli
artisti, gli intellettuali e gli accademici convocati da Erdogan ieri pomeriggio non
siano stati consultati su questo. Il fatto di fare un referendum sul parco di Gezi
Park non risolverà alcuni problemi essenzialmente rappresentati da politiche non condivise
portate avanti dalla AKP ed in particolar modo dal primo ministro Erdogan, quali appunto
la restrizione sugli alcolici, o la restrizione sull’aborto e soprattutto le dure
politiche attuate in questi giorni verso le contestazioni, scoppiate inizialmente
ad Istanbul e poi diffusesi in gran parte delle principali città turche, come Smirne,
Ankara…
D. – Una protesta che è diventata sicuramente “movimento anti Erdogan”,
ma fino a che punto è movimento contro il partito? Il vertice del partito del premier
risulta diviso, c’è la componente moderata, quella “dialogante”, che fa capo al presidente
Gul…
R. – Il presidente Gul e lo stesso vice primo ministro Bülent Arinç si
sono detti più concilianti, hanno cercato comunque anche oggi di aprire al dialogo
e lo stesso presidente della Repubblica Gul oggi ha appunto detto che la Turchia risolverà
i suoi problemi attraverso la democrazia, anche eventualmente attraverso una consultazione
popolare; per quanto, poi, ha invece suggerito che non sia necessario fare un vertice
dei leader politici per risolvere la questione. Sicuramente c’è una spaccatura, sicuramente
a livello di vertice ci sono due linee che non sono in realtà poi contrastanti: è
solo una questione di metodo, secondo me.
D. – Non sono contrastanti sulle
politiche, per esempio sulla restrizione sull’alcool, o altro, ma lo sono soltanto
sulle modalità di approccio alla protesta?
R. – Per quanto sembra, sì. Per
quanto il partito dell’AKP sia tutt’altro che monolitico, ci sono comunque diversi
punti di vista interni: non è un partito islamico inteso come partito religioso, ma
è un partito di ispirazione religiosa; dentro c’è veramente di tutto. Ci sono sicuramente
delle politiche condivise per avere il consenso che ha, cioè pari al 50 % della popolazione
turca. Vuol dire che comunque deve avere delle politiche condivise da portare avanti.
D.
– Diciamo che Erdogan è premier dal 2003 e da allora l’economia va bene. Quindi, in
genere viene appoggiato un governo quando l’economia cresce…
R. – Esattamente.
Questa è la forza dell’AKP: quella di aver portato la Turchia alla ribalta sulla scena
internazionale, da un punto di vista squisitamente economico - cioè con una crescita
che è stata nel 2011 del 7,9% del Pil - ma anche da un punto di vista di visibilità:
nelle relazioni internazionali, nelle relazioni con l’Unione Europea dalla quale si
sta lentamente dissociando, ma soprattutto nelle politiche regionali, macro regionali.
Non ultimo va considerato il peso che ha la Turchia nella questione siriana, questione
interna alla Siria. Tra l’altro questo da prima dello scoppio della guerra civile:
già nel 2010 era un attore importante, per non parlare dell’Africa, o di altri quadranti
in cui la Turchia sta diventando sempre più importante. Tutto questo ovviamente può
essere scosso ora dalle questioni di politiche interne che hanno a che fare con le
relazioni internazionali, chiamiamola politica estera “tout court”. Tutto può essere
rallentato, o essere trasformato da quanto sta avvenendo in questi giorni, in queste
due settimane. Però, bene o male, alla base elettorale dell’AKP il consenso è ancora
diffuso ed ancora solido.