Turchia, la polizia riprende il controllo di piazza Taksim. Almeno 100 i manifestanti
feriti
Sale ulteriormente la tensione in Turchia. Ad Istanbul migliaia di manifestanti hanno
nuovamente riempito, ieri sera, piazza Taksim, sgomberata in mattinata dalla polizia.
L’intervento, secondo l’associazione dei medici turchi, ha provocato il ferimento
di almeno 100 persone, tra cui 5 in modo grave. Migliaia di dimostranti si sono radunati
anche nel centro di Ankara. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Le proteste
non si placano e non si fermano nonostante i ripetuti interventi delle forze dell’ordine
e le dichiarazioni del premier Erdogan, che ha annunciato “tolleranza zero” nei confronti
dei manifestanti. Questa mattina la polizia, utilizzando anche veicoli blindati, aveva
ripreso il controllo di piazza Taksim costringendo centinaia di manifestanti a ritirarsi
verso il parco Gezi, altro luogo simbolo della rivolta antigovernativa. Durante le
violenze compiute dalla polizia, definite “brutali e vergognose” da Amnesty International,
sono rimasti feriti – secondo l’Associazione dei medici turchi - almeno 100 dimostranti,
tra cui 5 in modo grave. In varie zone del Paese sono stati arrestati più di 70 avvocati
che difendono i dimostranti. Sempre oggi ad Istanbul, centinaia di agenti in tenuta
anti-sommossa erano entrati nel parco Gezi, dove gli alberi saranno sradicati e trasferiti
– ha detto il premier turco Erdogan – per consentire di costruire un centro commerciale.
L’unico spiraglio di dialogo tra governo e attivisti si aprirà forse domani quando
il primo ministro turco incontrerà una delegazione di manifestanti. Ma il governo
ha già precisato che i piani urbanistici, duramente contestati dai dimostranti durante
le proteste iniziate lo scorso 30 maggio e costate la vita finora a 4 persone, non
verranno modificati.
Domani, il primo ministro turco Erdogan incontrerà
dunque alcuni dimostranti. Ma i fatti di oggi avranno delle ripercussioni su questo
faccia a faccia? Salvatore Sabatino lo ha chiesto al collega turco Dundar
Kesapli:
R. – Erdogan
ha mostrato che non è un uomo del sistema dittatoriale, perché comunque ha dato un
segno e ha mostrato la volontà di premiare i manifestanti, ascoltandoli. Quindi, domani,
li incontrerà e dopo vedremo il risultato che ne uscirà fuori.
D. – Il premier
Erdogan e il presidente Gul si sono mostrati molto divisi – duro il primo, dialogante
il secondo – segno che c’è una spaccatura in atto a livello istituzionale...
R.
– Può sembrare ma, d’altro canto, come in ogni Paese i diversi leader hanno diversi
pareri, uno diverso dall’altro. Alla fine, però, qui c’è una realtà: sia il presidente
Gul che il presidente del Consiglio, Erdogan, hanno il dovere, come istituzioni che
rappresentano la Turchia, di trovare una soluzione e il miglior modo per uscire fuori
dalla situazione prima che si aggravi, come è accaduto in altri Paesi del Mediterraneo.
D. – La Turchia è in questi giorni sotto la lente d’ingrandimento internazionale.
Quanto tutto questo avrà delle conseguenze sulla credibilità che il Paese si è faticosamente
costruito in questi anni?
R. – Il presidente Erdogan sicuramente ha fatto molte
cose importanti per la Turchia e per la popolazione, ma non si può dire che sia perfetto.
In nessun Paese del mondo si può pretendere che le istituzioni e il governo siano
perfetti. Sicuramente, manca qualcosa. Soprattutto, non è stato molto leggero l’intervento
della polizia turca. E questo bisogna sottolinearlo. Hanno sbagliato e quando sbagliano
anche loro pagano. Istituzione o no, la realtà è che ci sono in atto degli scontri
e che l’atmosfera che si vive in Turchia non è certo serena.