Save the Children e Associazione Bruno Trentin: in Italia 260 mila minori lavoratori
Il lavoro minorile in Italia: una piaga nascosta e da troppi anni non monitorata.
A distanza di 11 anni dall’ultima indagine Istat, Save the Children e l’Associazione
“Bruno Trentin” hanno presentato a Roma i nuovi dati su questo triste fenomeno, alla
vigilia della Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2013. Il servizio è di
FrancescaSabatinelli:
Fanno i muratori,
sollevano sacchi di 10-15 kg, camminano su impalcature a oltre venti metri di altezza
senza casco e senza funi. E hanno nove anni o poco più. Sono un esercito i minori
sotto i 16 anni che lavorano in Italia: 260 mila, uno su venti. Di questi, la maggior
parte hanno tra i 14 e i 15 anni e sono soprattutto concentrati nel Mezzogiorno. Tre
ragazzi su quattro lavorano a supporto dell’attività di famiglia e la crisi economica
ha aggravato questo dato. Li troviamo nella ristorazione, nella vendita come ambulanti,
in agricoltura o nei cantieri. Ma anche a casa, impegnati nell’aiuto domestico, nel
lavoro di cura. Lasciano la scuola a causa delle condizioni familiari, per disaffezione
scolastica, in 30 mila sono a rischio sfruttamento, dediti a lavori pericolosi per
la loro sicurezza, per la loro integrità morale, per la loro salute, se pensiamo
a ragazzini che dalle 4 e mezzo di mattina alle 3 di pomeriggio stanno con le mani
nel ghiaccio, impiegati dai pescivendoli per neanche 60 euro a settimana. Nelle famiglie,
inoltre, esiste una visione deviata del valore del lavoro, che per questi minori è
spesso duro e violento e che nel futuro non porterà a nessuna opportunità positiva:
saranno adulti con scarsa qualifica lavorativa. Si tratta di un fenomeno non monitorato,
denuncia Save the Children, e per questo soggetto a stereotipi, ma il lavoro minorile
è una questione sociale. E ciò che avviene in Italia, dato ancor più grave, non è
tanto distante dal resto d’Europa. Save the Children e l'Associazione Bruno Trentin
chiedono che si proceda subito all’adozione di un piano nazionale sul lavoro minorile,
che monitorizzi e prevenga questo fenomeno. E che supporti ragazzi come Marco Riccio,
21 anni di Napoli, che ha aiutato i ricercatori a intervistare i minori coinvolti
nella ricerca:
"Io ero un ragazzo come loro: ero un ragazzo di strada, mi
piaceva stare in strada… Poi, invece, in questo progetto – ora sto in una cooperativa
sociale – ho fatto il facilitatore, cioè facilitavo ai ricercatori tutto il lavoro
delle interviste. Parlavo un po’ con il ragazzo, prima di fare l’intervista, e alcune
risposte date in queste interviste sono state veramente molto toccanti, molto forti,
come non se n’erano mai sentite, neanch'io le avevo mai sentite. Quindi, incoraggiavo
il ragazzo a parlare, dicendogli: 'Può servire per noi ragazzi, non solo per te che
lo stai dicendo. Facciamolo sentire a tutti, quello che stai dicendo!'. Quando un
ragazzo di 15 anni ti dice: 'Io non ho una carta d’identità, ho mia mamma e mio padre
in carcere e lavoro per portare a loro dei soldi per mantenerli: e me, chi mi mantiene?
Ho la mia fidanzata che sta con me, ha 18 anni, è più grande di me, ed è lei che mi
sta accudendo…'. Negli occhi dei ragazzi si vede semplicemente il vuoto, si vedono
occhi bui… Non credono più nella speranza di un futuro, non hanno più sogni: è questo
quello che si vede, guardando negli occhi i ragazzi di oggi. Ma parlo di ragazzi piccoli,
non grandi. Ragazzi che dovrebbero vivere la loro infanzia in un cinema, in un pub,
in un divertimento, in uno svago. Ma non ce l’hanno, questo. Quindi, è questo che
bisogna dare ai bambini, ai ragazzi, per farli crescere con un futuro decente. Io
cerco di aiutarli perché io l’ho trovato tardi l’aiuto per me: allora dico, meglio
prevenire, meglio aiutarli ora che sono piccoli, piuttosto che quando saranno grandi".
Tutti
d’accordo che contro il lavoro minorile occorra più scuola, più formazione e una
riforma del mercato di lavoro, così come indicato dalla leader della Cgil, Susanna
Camusso. Tre, quindi, i settori sui quali intervenire subito, li spiega KatiaScannavini, ricercatrice di Save the Children Italia: famiglia, scuola – affrontando
l’aumento della dispersione scolastica, tenendo presente che in Italia l’abbandono
scolastico è uno dei più elevati d’Europa – e territorio, se dal territorio non giungono
stimoli, è molto difficile fare scelte positive:
R. – Sono numeri drammatici,
se pensiamo che sono numeri di un Paese come l’Italia. In realtà, il fenomeno del
lavoro minorile è un fenomeno che è sempre stato “sottobosco”, è sempre stato presente
negli ultimi anni. Con questa ricerca abbiamo voluto evidenziare e mettere in luce
un fenomeno che i territori conoscono, ma che poi non è preso abbastanza in considerazione
dalle istituzioni e dall’opinione pubblica. I dati sono dati concreti, che denunciano
delle difficoltà assolutamente molto gravi.
D. – Questi 260 mila minori sono
figli della crisi economica, però non soltanto di questo. Si parla della povertà economica,
e di cos’altro?
R. – Sono figli sicuramente della crisi economica, da certi
punti di vista, ma non solo. Sono figli, in realtà, di una povertà culturale, di una
povertà delle istituzioni all’interno dei territori, una povertà che, quindi, tocca
sicuramente il livello economico, ma anche quello culturale ed esperienziale dei minori.
D.
– Voi avete messo in luce la tipologia di lavoro, le fasce d’età. Una cosa che sorprende
è che avete inserito, volutamente e con molta attenzione, anche il dato del lavoro
casalingo. Perché diventa un allarme?
R. – Diventa un allarme nel momento in
cui il minore viene assorbito totalmente dalle attività casalinghe, tanto da impedire
al minore stesso di poter andare a scuola o di svolgere altre attività fondamentali
per la sua crescita psicologica e anche culturale. Quindi, anche il contatto con i
pari, il divertimento, l’uscita e così via.
D. – Voi avete parlato con questi
ragazzi e avete collaborato a stretto contatto con loro. Cosa vi hanno detto?
R.
– Ci hanno detto, come frase forse più significativa, che vedono “il futuro ucciso
e messo in croce”. Hanno paura del loro futuro, perché vedono che non hanno le possibilità
che hanno avuto i loro genitori, ovvero di avere una famiglia. Non chiedono di più:
vogliono avere una famiglia. Non vedono l’opportunità di essere delle persone che
possano vivere con dei desideri minimi.
D. – Per quanto questo sia un dato
nazionale, però, la suddivisione delle zone più a rischio è evidente. C’è un Centro-nord
abbastanza integro e un Meridione che è completamente sotto scacco del lavoro minorile...
R.
– Esatto. Il Mezzogiorno sicuramente è l’area più colpita, ma per molti motivi. Il
lavoro minorile tocca, taglia trasversalmente tante dimensioni. Quindi, per questo
chiaramente sono più a rischio i minori che abitano in un certo territorio, piuttosto
che in un altro. Non dimentichiamoci però che abbiamo anche altre zone fortemente
a rischio, come la zona del Nordest, ma anche tante città: pensiamo a Prato, ad alcune
città della Liguria.
D. – Save the Children e l’Associazione Bruno Trentin
daranno le loro indicazioni. A vostro giudizio, cosa serve davvero?
R. – Serve,
per quanto riguarda il lavoro minorile, un piano nazionale che prenda in considerazione
questo fenomeno e che soprattutto volga le sue prime azioni a sostegno delle famiglie
e quindi a contrasto della povertà economica e culturale del nostro Paese.
Al
ministro del lavoro Giovannini, così come a tutte le istituzioni, vengono quindi chieste
costanti rilevazioni del fenomeno, e la costituzione di un osservatorio del Ministero
del Lavoro e di altri dicasteri interessati, affinché si proceda a efficaci azioni
di contrasto al lavoro minorile.