2013-06-11 16:26:03

Save the Children e Associazione Bruno Trentin: in Italia 260 mila minori lavoratori


Il lavoro minorile in Italia: una piaga nascosta e da troppi anni non monitorata. A distanza di 11 anni dall’ultima indagine Istat, Save the Children e l’Associazione “Bruno Trentin” hanno presentato a Roma i nuovi dati su questo triste fenomeno, alla vigilia della Giornata mondiale contro il lavoro minorile 2013. Il servizio è di Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

Fanno i muratori, sollevano sacchi di 10-15 kg, camminano su impalcature a oltre venti metri di altezza senza casco e senza funi. E hanno nove anni o poco più. Sono un esercito i minori sotto i 16 anni che lavorano in Italia: 260 mila, uno su venti. Di questi, la maggior parte hanno tra i 14 e i 15 anni e sono soprattutto concentrati nel Mezzogiorno. Tre ragazzi su quattro lavorano a supporto dell’attività di famiglia e la crisi economica ha aggravato questo dato. Li troviamo nella ristorazione, nella vendita come ambulanti, in agricoltura o nei cantieri. Ma anche a casa, impegnati nell’aiuto domestico, nel lavoro di cura. Lasciano la scuola a causa delle condizioni familiari, per disaffezione scolastica, in 30 mila sono a rischio sfruttamento, dediti a lavori pericolosi per la loro sicurezza, per la loro integrità morale, per la loro salute, se pensiamo a ragazzini che dalle 4 e mezzo di mattina alle 3 di pomeriggio stanno con le mani nel ghiaccio, impiegati dai pescivendoli per neanche 60 euro a settimana. Nelle famiglie, inoltre, esiste una visione deviata del valore del lavoro, che per questi minori è spesso duro e violento e che nel futuro non porterà a nessuna opportunità positiva: saranno adulti con scarsa qualifica lavorativa. Si tratta di un fenomeno non monitorato, denuncia Save the Children, e per questo soggetto a stereotipi, ma il lavoro minorile è una questione sociale. E ciò che avviene in Italia, dato ancor più grave, non è tanto distante dal resto d’Europa. Save the Children e l'Associazione Bruno Trentin chiedono che si proceda subito all’adozione di un piano nazionale sul lavoro minorile, che monitorizzi e prevenga questo fenomeno. E che supporti ragazzi come Marco Riccio, 21 anni di Napoli, che ha aiutato i ricercatori a intervistare i minori coinvolti nella ricerca:

"Io ero un ragazzo come loro: ero un ragazzo di strada, mi piaceva stare in strada… Poi, invece, in questo progetto – ora sto in una cooperativa sociale – ho fatto il facilitatore, cioè facilitavo ai ricercatori tutto il lavoro delle interviste. Parlavo un po’ con il ragazzo, prima di fare l’intervista, e alcune risposte date in queste interviste sono state veramente molto toccanti, molto forti, come non se n’erano mai sentite, neanch'io le avevo mai sentite. Quindi, incoraggiavo il ragazzo a parlare, dicendogli: 'Può servire per noi ragazzi, non solo per te che lo stai dicendo. Facciamolo sentire a tutti, quello che stai dicendo!'. Quando un ragazzo di 15 anni ti dice: 'Io non ho una carta d’identità, ho mia mamma e mio padre in carcere e lavoro per portare a loro dei soldi per mantenerli: e me, chi mi mantiene? Ho la mia fidanzata che sta con me, ha 18 anni, è più grande di me, ed è lei che mi sta accudendo…'. Negli occhi dei ragazzi si vede semplicemente il vuoto, si vedono occhi bui… Non credono più nella speranza di un futuro, non hanno più sogni: è questo quello che si vede, guardando negli occhi i ragazzi di oggi. Ma parlo di ragazzi piccoli, non grandi. Ragazzi che dovrebbero vivere la loro infanzia in un cinema, in un pub, in un divertimento, in uno svago. Ma non ce l’hanno, questo. Quindi, è questo che bisogna dare ai bambini, ai ragazzi, per farli crescere con un futuro decente. Io cerco di aiutarli perché io l’ho trovato tardi l’aiuto per me: allora dico, meglio prevenire, meglio aiutarli ora che sono piccoli, piuttosto che quando saranno grandi".

Tutti d’accordo che contro il lavoro minorile occorra più scuola, più formazione e una riforma del mercato di lavoro, così come indicato dalla leader della Cgil, Susanna Camusso. Tre, quindi, i settori sui quali intervenire subito, li spiega Katia Scannavini, ricercatrice di Save the Children Italia: famiglia, scuola – affrontando l’aumento della dispersione scolastica, tenendo presente che in Italia l’abbandono scolastico è uno dei più elevati d’Europa – e territorio, se dal territorio non giungono stimoli, è molto difficile fare scelte positive:

R. – Sono numeri drammatici, se pensiamo che sono numeri di un Paese come l’Italia. In realtà, il fenomeno del lavoro minorile è un fenomeno che è sempre stato “sottobosco”, è sempre stato presente negli ultimi anni. Con questa ricerca abbiamo voluto evidenziare e mettere in luce un fenomeno che i territori conoscono, ma che poi non è preso abbastanza in considerazione dalle istituzioni e dall’opinione pubblica. I dati sono dati concreti, che denunciano delle difficoltà assolutamente molto gravi.

D. – Questi 260 mila minori sono figli della crisi economica, però non soltanto di questo. Si parla della povertà economica, e di cos’altro?

R. – Sono figli sicuramente della crisi economica, da certi punti di vista, ma non solo. Sono figli, in realtà, di una povertà culturale, di una povertà delle istituzioni all’interno dei territori, una povertà che, quindi, tocca sicuramente il livello economico, ma anche quello culturale ed esperienziale dei minori.

D. – Voi avete messo in luce la tipologia di lavoro, le fasce d’età. Una cosa che sorprende è che avete inserito, volutamente e con molta attenzione, anche il dato del lavoro casalingo. Perché diventa un allarme?

R. – Diventa un allarme nel momento in cui il minore viene assorbito totalmente dalle attività casalinghe, tanto da impedire al minore stesso di poter andare a scuola o di svolgere altre attività fondamentali per la sua crescita psicologica e anche culturale. Quindi, anche il contatto con i pari, il divertimento, l’uscita e così via.

D. – Voi avete parlato con questi ragazzi e avete collaborato a stretto contatto con loro. Cosa vi hanno detto?

R. – Ci hanno detto, come frase forse più significativa, che vedono “il futuro ucciso e messo in croce”. Hanno paura del loro futuro, perché vedono che non hanno le possibilità che hanno avuto i loro genitori, ovvero di avere una famiglia. Non chiedono di più: vogliono avere una famiglia. Non vedono l’opportunità di essere delle persone che possano vivere con dei desideri minimi.

D. – Per quanto questo sia un dato nazionale, però, la suddivisione delle zone più a rischio è evidente. C’è un Centro-nord abbastanza integro e un Meridione che è completamente sotto scacco del lavoro minorile...

R. – Esatto. Il Mezzogiorno sicuramente è l’area più colpita, ma per molti motivi. Il lavoro minorile tocca, taglia trasversalmente tante dimensioni. Quindi, per questo chiaramente sono più a rischio i minori che abitano in un certo territorio, piuttosto che in un altro. Non dimentichiamoci però che abbiamo anche altre zone fortemente a rischio, come la zona del Nordest, ma anche tante città: pensiamo a Prato, ad alcune città della Liguria.

D. – Save the Children e l’Associazione Bruno Trentin daranno le loro indicazioni. A vostro giudizio, cosa serve davvero?

R. – Serve, per quanto riguarda il lavoro minorile, un piano nazionale che prenda in considerazione questo fenomeno e che soprattutto volga le sue prime azioni a sostegno delle famiglie e quindi a contrasto della povertà economica e culturale del nostro Paese.

Al ministro del lavoro Giovannini, così come a tutte le istituzioni, vengono quindi chieste costanti rilevazioni del fenomeno, e la costituzione di un osservatorio del Ministero del Lavoro e di altri dicasteri interessati, affinché si proceda a efficaci azioni di contrasto al lavoro minorile.







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