2013-06-10 13:51:30

Amman: incontro dei media arabi cristiani "a servizio della pace" alla presenza di mons. Celli


Usare i media per costruire ponti di pace può essere un argomento decisivo in aree come il Medio oriente. Con questa idea di fondo si è aperto ieri pomeriggio ad Amman, in Giordania, un Seminario per vescovi, sacerdoti e laici sul tema “I media arabi cristiani al servizio della giustizia, della pace e dei diritti umani”, che vedrà la partecipazioni di esperti delle varie Chiese locali. Tra le personalità di spicco, il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, e l’arcivescovo Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Philippa Hitchen lo ha intervistato: RealAudioMP3

R. – Ritengo che la comunicazione nella Chiesa non abbia solamente una funzione di trasmissione di notizie o di creazione di legami, ma abbia una dimensione ancora più profonda che è quella “comunionale”. Nella Chiesa, la comunicazione ha una funzione di comunione ecclesiale. Allora, direi che l’esigenza di dover annunciare Gesù nel mondo di oggi ci aiuta a superare quelle distinzioni che possiamo avere legate ai rispettivi riti o alle tradizioni ecclesiali. Il problema è vedere come insieme siamo capaci di stabilire un dialogo rispettoso con gli uomini e le donne di oggi, che possono essere anche non cristiani – lei immagini in questo contesto mediorientale. La Chiesa sente veramente il bisogno di essere se stessa e nello stesso tempo di assumere una dimensione di annuncio, di proposta. Così come diceva Papa Benedetto XVI: un dialogo rispettoso con la verità degli altri e anche – diciamo così – con le dimensioni religiose degli altri. Allora, credo che nel cammino che stiamo facendo nel mondo di oggi ci debba essere, da un lato, una grande consapevolezza di ciò che siamo: sappiamo che apparteniamo a Gesù Cristo, che siamo una sola cosa con Lui, ma nello stesso tempo è proprio in Gesù Cristo che dobbiamo essere aperti a tutto. E’ molto bello ciò che diceva alcuni giorni fa Papa Francesco, quando rispondeva ad alcune domande postegli dai rappresentanti dei vari movimenti laicali, ricevuti alla vigilia di Pentecoste: parlava di una cultura dell’amicizia, di una cultura dell’incontro. Il che vuol dire una Chiesa che non è arroccata su se stessa o in se stessa, quasi – direi – dovendosi difendere da chissà quali attacchi, ma una Chiesa che si apre, una Chiesa che sa dialogare con il mondo.

Ultimo aggiornamento: 11 giugno







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