Turchia, ancora tensioni. Usa e Ue rispondono ad Erdogan
Si annuncia un weekend di tensioni in Turchia: migliaia di manifestanti sono ancora
in strada sia ad Istanbul che ad Ankara, nonostante il premier Erdogan ieri abbia
intimato ai manifestanti di interrompere le proteste. E le parole del capo del governo
hanno provocato anche la reazione di Stati Uniti e Unione Europea. Il servizio di
Davide Maggiore:
La protesta
di piazza continua: in piazza Taksim, da sabato scorso – con il ritiro della polizia
– non si verificano più scontri, ma i manifestanti restano accampati nel luogo diventato
il simbolo del malcontento. Anche nella capitale Ankara migliaia di persone hanno
occupato le vie che nei giorni scorsi sono state già teatro di scontri con la polizia.
Ieri, durante un convegno, il premier Erdogan, pur dicendosi disponibile al dialogo
con chi ha “rivendicazioni democratiche”, ha mantenuto una posizione ferma contro
quelli che ha definito “vandali” ed “estremisti”. Il premier ha anche paragonato le
azioni della polizia a quanto avvenuto due anni fa in Europa e negli Stati Uniti durante
il movimento degli indignados, parlando di 17 morti nelle proteste di Occupy Wall
Street. Dopo queste parole l’ambasciata statunitense in Turchia ha reagito, precisando
che in quell’occasione nessuno perse la vita. Critiche ad Erdogan sono arrivate anche
da Stefan Fule commissario europeo all’Allargamento: “l’uso eccessivo della forza
contro i dimostranti – ha ricordato – non ha spazio in democrazia”.
Ma in Turchia
c’è il rischio di guerra civile come denunciato da molti manifestanti? Amedeo Lomonaco
lo ha chiesto a Fabio Grassi, ricercatore in Storia dell’Europa Orientale presso
l’Università “La Sapienza” di Roma ed autore della prima biografia italiana di Kemal
Atatürk, intitolata “Ataturk. Il fondatore della Turchia moderna”, edita dalla casa
editrice Salerno:
R. – No, non
c’è questo rischio. C’è invece il “rischio”, o la prospettiva positiva per altri,
di una più evidente spaccatura all’interno del partito di governo, perché il presidente
della Repubblica Gul e il vicepresidente del Consiglio Arinç hanno avuto, evidentemente,
un altro atteggiamento.
D. – C’è poi chi denuncia una politica che viene definita
un po’ bifronte, da parte del premier Erdogan: mentre in politica estera – ad esempio
– l’accordo con il Pkk, il riavvicinamento con Israele, la rottura dell’alleanza con
il presidente siriano Assad sono parte di una strategia prudente, finalizzata ad allentare
le tensioni, in politica interna invece prosegue questa linea intransigente, contro
ogni forma di protesta …
R. – Io non vedo una dicotomia tra la politica interna
e la politica estera, perché in questo decennio contrassegnato dalla leadership di
Erdogan e di Gul c’è stata la volontà di fare grandi cose, sia nel segno di azioni
positive, di soluzioni di certi grandi problemi all’interno, sia nel segno di una
politica anche decisionista e forse, in qualche caso, anche un po’ velleitaria. L’obiettivo
di risolvere molti grandi problemi storici delle relazioni della Turchia con i Paesi
vicini non si sono tradotti in chiari e risolutivi esiti. E poi è scoppiato il grave
problema della Siria e lì Erdogan ha assunto una posizione non solo dura, ma anche,
bisogna dire, in qualche modo interventista.
D. – Quanto potranno pesare questi
giorni, segnati da tali dure proteste, sul governo di Erdogan?
R. – Io non
vedo probabili esiti drastici. Innanzitutto, non credo che questo movimento importante
produca immediati e netti effetti elettorali. E’ possibile pensare ad un appannamento,
ad una difficoltà e quindi anche, a breve, ad una lieve flessione elettorale del partito
di governo.
D. – Una stoccata è arrivata anche dall’Europa, dal commissario
europeo per l’allargamento: l’uso eccessivo della forza da parte della polizia contro
i dimostranti turchi non trova posto in una democrazia …
R. – Evidentemente,
questo uso spropositato della forza da parte della polizia segnala il fatto che la
Turchia è un Paese che deve ancora fare strada verso l’esito di una democrazia occidentale
standard. E’ un Paese con un passato autoritario e quindi, evidentemente, questa cosa
non scompare da un momento all’altro. Tanto più che Erdogan ha avuto un consenso così
forte, così netto in questi anni che certamente lo ha indotto ad una grave insofferenza
verso qualunque forma di critica e di dissenso. Ma la tentazione autoritaria paternalista
in Erdogan, nella cultura politica della Turchia è certo che ci sia. Quindi, il monito,
il rimprovero dell’Unione Europea è giusto.