Turchia. Il premier Erdogan: governo aperto a richieste democratiche
In Turchia il premier, Recep Tayyip Erdogan, ha affermato ieri – in conferenza stampa
ad Istanbul - che il suo governo è contro la violenza e aperto alle richieste democratiche.
“Siamo contro il terrorismo, la violenza, gli atti vandalici e le azioni che minacciano
gli altri per il bene della libertà”. Poco prima, l’Ue aveva ricordato che l'uso eccessivo
della forza da parte della polizia “non ha spazio in democrazia”. Ma in Turchia c’è
il rischio di guerra civile come denunciato da molti manifestanti? Amedeo Lomonaco
lo ha chiesto a Fabio Grassi, ricercatore in Storia dell’Europa Orientale presso
l’Università “La Sapienza” di Roma ed autore della prima biografia italiana di Kemal
Atatürk, intitolata “Ataturk. Il fondatore della Turchia moderna”, edita dalla casa
editrice Salerno:
R. – No, non
c’è questo rischio. C’è invece il “rischio”, o la prospettiva positiva per altri,
di una più evidente spaccatura all’interno del partito di governo, perché il presidente
della Repubblica Gul e il vicepresidente del Consiglio Arinç hanno avuto, evidentemente,
un altro atteggiamento.
D. – C’è poi chi denuncia una politica che viene definita
un po’ bifronte, da parte del premier Erdogan: mentre in politica estera – ad esempio
– l’accordo con il Pkk, il riavvicinamento con Israele, la rottura dell’alleanza con
il presidente siriano Assad sono parte di una strategia prudente, finalizzata ad allentare
le tensioni, in politica interna invece prosegue questa linea intransigente, contro
ogni forma di protesta …
R. – Io non vedo una dicotomia tra la politica interna
e la politica estera, perché in questo decennio contrassegnato dalla leadership di
Erdogan e di Gul c’è stata la volontà di fare grandi cose, sia nel segno di azioni
positive, di soluzioni di certi grandi problemi all’interno, sia nel segno di una
politica anche decisionista e forse, in qualche caso, anche un po’ velleitaria. L’obiettivo
di risolvere molti grandi problemi storici delle relazioni della Turchia con i Paesi
vicini non si sono tradotti in chiari e risolutivi esiti. E poi è scoppiato il grave
problema della Siria e lì Erdogan ha assunto una posizione non solo dura, ma anche,
bisogna dire, in qualche modo interventista.
D. – Quanto potranno pesare questi
giorni, segnati da tali dure proteste, sul governo di Erdogan?
R. – Io non
vedo probabili esiti drastici. Innanzitutto, non credo che questo movimento importante
produca immediati e netti effetti elettorali. E’ possibile pensare ad un appannamento,
ad una difficoltà e quindi anche, a breve, ad una lieve flessione elettorale del partito
di governo.
D. – Una stoccata è arrivata anche dall’Europa, dal commissario
europeo per l’allargamento: l’uso eccessivo della forza da parte della polizia contro
i dimostranti turchi non trova posto in una democrazia …
R. – Evidentemente,
questo uso spropositato della forza da parte della polizia segnala il fatto che la
Turchia è un Paese che deve ancora fare strada verso l’esito di una democrazia occidentale
standard. E’ un Paese con un passato autoritario e quindi, evidentemente, questa cosa
non scompare da un momento all’altro. Tanto più che Erdogan ha avuto un consenso così
forte, così netto in questi anni che certamente lo ha indotto ad una grave insofferenza
verso qualunque forma di critica e di dissenso. Ma la tentazione autoritaria paternalista
in Erdogan, nella cultura politica della Turchia è certo che ci sia. Quindi, il monito,
il rimprovero dell’Unione Europea è giusto.