In Asia sempre più testate nucleari: rapporto del Sipri
Mentre Russia e Stati Uniti registrano tagli, aumentano le testate nucleari in Asia.
E’ quanto emerge dall’annuale rapporto dello Stockholm International Peace Reserch
Institute (Sipri). La Cina è arrivata al quarto posto nella lista delle potenze nucleari.
India e Pakistan sono passati rispettivamente da 90 a 110 testate e da 100 a 120.
Non ci sono dati sulle due possibili nuove potenze nucleari: Corea del Nord e Iran.
E’ confermato però che Pyongyang prosegue con i test dei suoi missili balistici. Fausta
Speranza ne ha parlato con Marco Lombardi, docente di politiche della Sicurezza
all’Università Catolica del Sacro Cuore di Milano:
R. - Il problema
delle testate nucleari è rilevante e sappiamo che c’è stato un taglio enorme dai tempi
della Guerra Fredda: siamo scesi a 19 mila, diciamo più o meno 20 mila testate, rispetto
a quando ne avevamo 80 mila nel mondo. Noi abbiamo visto alcune cose: un Paese come
la Cina, di fatto, sta incrementando il numero e ci aspettiamo che aumenti ancora.
D. - Diciamo che è preoccupante che aumentino le testate nucleari in Asia,
ma anche preoccupante il fatto che sfuggono anche al controllo delle agenzie internazionali:
è così?
R. - Direi che l’espressione "sfuggono" è pesante. Diciamo che c’è
sempre molta opacità, poca trasparenza rispetto alle richieste di rendere visibile
quella che è la produzione del materiale fissile, dei processi di arricchimento di
uranio, etc, etc… tanto più nel dichiarare ufficialmente di quanto si dispone: per
esempio noi diciamo che questo è il numero delle testate a disposizione, perché facciamo
delle ipotesi su quelli che sono i processi di produzione del materiale che serve
per costruirle, ma non c’è una denuncia trasparente che dice: “sì, noi ne abbiamo
tot” ... come, invece, fanno Stati Uniti, Russia e altri Paesi avendo sottoscritto,
in particolare, un Trattato che vuole ridurre la diffusione delle armi nucleari, ridurre
gli arsenali esistenti e indirizzare verso altri usi il nucleare.
D. - Emerge
dal rapporto anche qualcosa sul sentire della gente? Corrisponde alle scelte dei governi?
R.
- E’ interessante notare come in Cina, la maggior parte dei cinesi intervistati -
circa il 60 per cento - chieda una riduzione dell’arsenale nucleare. La Cina ci ha
spesso abituati a questo: c’è una sorta di strabismo, diciamo così, tra l’indirizzo
strategico governativo e le attese della popolazione. Uno strabismo che rende problematico,
come sempre incerto, capire qual è l’evoluzione della Cina. Dall’altra, un pochino
più preoccupanti sono le altre due potenze: India e Pakistan. Qui ci attestiamo anche
su un centinaio di testate nucleari per ciascun Paese e qui, invece, meno della metà
della gente si schiera a favore della riduzione. Quindi, questi Paesi hanno anche
un supporto popolare nel mantenimento e nell’incremento del loro arsenale. Sicuramente
ciò è dovuto anche alle relazioni non facili proprio nell’area e anche le relazioni
non facili proprio come sappiamo tra India e Pakistan. Ci sono antiche questioni,
questioni sempre aperte. Su altri Paesi si può dire poco: Israele ha sempre detto
e non detto, soprattutto non detto - si stima che abbia un’ottantina di testate. Ma
anche qui contando i prodotti che possono costruirle, si può dedurre qualcosa. Lo
stesso è la Corea del Nord che potrebbe averne 7-8 se guardiamo a quello che sta producendo
per arricchirle. Quindi c’è grande incertezza, di fatto. C’è un mondo che è ancora
quello che mantiene - sia chiaro - il maggior numero di testate nucleare, che è quello
occidentale, Russia inclusa; c’è un mondo, che è quello soprattutto asiatico, che
ha un numero relativamente basso di testate, ma che è costantemente - seppur lievemente
- in incremento.