Gridare il proprio dolore davanti a Dio è una preghiera del cuore: così il Papa a
Santa Marta
Lamentarsi delle proprie sofferenze davanti a Dio non è peccato, ma una preghiera
del cuore che arriva al Signore: è quanto ha affermato il Papa nella Messa di questo
mercoledì a Santa Marta. Erano presenti alcuni membri della Congregazione per il Culto
Divino e della Biblioteca Apostolica Vaticana. Hanno concelebrato, tra gli altri,
il cardinale Antonio Cañizares Llovera, mons. Arthur Roche e Cesare Pasini. Il servizio
di Sergio Centofanti:
La storia di
Tobi e Sara, riportata nella prima lettura del giorno, è stata al centro dell’omelia
del Papa: due persone giuste che vivono situazioni drammatiche. Il primo diventa cieco
nonostante compia opere buone, rischiando addirittura la vita; la seconda sposa sette
uomini che muoiono prima della notte di nozze. Entrambi, nel loro immenso dolore,
pregano Dio di farli morire. “Sono persone in situazioni limite – osserva il Papa
- situazioni proprio nel sottosuolo dell’esistenza, e cercano un’uscita. Si lamentano”
ma “non bestemmiano”:
“E lamentarsi davanti a Dio non è peccato. Un prete
che io conosco una volta l’ha detto ad una donna che si lamentava davanti a Dio per
le sue calamità: ‘Ma, signora, è una forma di preghiera quella. Vada avanti’. Il Signore
sente, ascolta i nostri lamenti. Pensiamo ai grandi, a Giobbe, quando nel capitolo
III (dice): ‘Maledetto il giorno in cui sono venuto al mondo’. E anche Geremia, nel
XX capitolo: ‘Maledetto il giorno …’. Si lamentano anche con una maledizione, non
al Signore, ma a quella situazione, no? E’ umano, questo”.
Ci sono tante
persone che vivono casi limite, ha sottolineato il Papa: bambini denutriti, profughi,
malati terminali. Nel Vangelo del giorno – osserva – ci sono i Sadducei che presentano
a Gesù il caso limite di una donna, vedova di sette uomini. Non parlavano di questa
vicenda col cuore:
“I Sadducei parlavano di questa donna come se fosse
un laboratorio, tutto asettico, tutto … Era un caso di morale. Noi, quando pensiamo
a questa gente che soffre tanto, pensiamo come se fosse un caso di morale, pure idee,
‘ma, in questo caso, … questo caso …’, o pensiamo con il nostro cuore, con la nostra
carne, anche? A me non fa piacere quando si parla di queste situazioni in maniera
tanto accademica e non umana, alle volte con le statistiche … ma soltanto lì. Nella
Chiesa ci sono tante persone in questa situazione”.
In questi casi – afferma
il Papa – bisogna fare quello che dice Gesù, pregare:
“Pregare per loro.
Loro devono entrare nel mio cuore, loro devono essere un’inquietudine per me: il mio
fratello soffre, la mia sorella soffre. Ecco … il mistero della comunione dei Santi:
pregare il Signore: ‘Ma, Signore, guarda quello: piange, soffre’. Pregare, permettetemi
di dirlo, con la carne: che la nostra carne preghi. Non con le idee. Pregare con il
cuore”.
E le preghiere di Tobi e Sara, che pur chiedendo di morire si
rivolgono al Signore, ci danno speranza – sottolinea il Papa - perché sono a loro
modo accolte da Dio, che non li fa morire ma guarisce Tobi e dà finalmente un marito
a Sara: “La preghiera – spiega - sempre arriva alla gloria di Dio, sempre, quando
è preghiera dal cuore”. Invece, “quando è un caso di morale, come questo di cui parlavano
i Sadducei, non arriva mai, perché non esce mai da noi stessi: non ci interessa. E’
un gioco intellettuale”. Papa Francesco invita, infine, a pregare per quanti vivono
situazioni drammatiche e soffrono tanto e come Gesù sulla Croce gridano: “Padre, Padre,
perché mi hai abbandonato?”. Preghiamo – ha concluso –“perché la nostra preghiera
arrivi e sia un po’ di speranza per tutti noi”.