Centrafrica. Saccheggi alle chiese: un appello alla cautela
“Sto camminando come al solito. Non abbiamo altri mezzi dopo che tutti gli autoveicoli
a disposizione della diocesi e dei missionari sono stati rubati” dice all’agenzia
Fides mons. Juan José Aguirre Muños, vescovo di Bangassou, nella Repubblica Centrafricana.
“Ci hanno rubato tutto: 28 automobili, 3 motociclette, tutti i medicinali della farmacia,
sono state saccheggiate la pediatria, la casa delle Suore francescane, quella dei
Padri Spiritani….l’elenco è lungo” afferma mons. Aguirre Muños, che però non demorde.
“Non ne facciamo un dramma perché non è la prima volta che ci accadono cose del genere.
L’importante è stare qui, rimanendo accanto ai poveri per evangelizzare. Non siamo
stati i primi a sperimentare momenti di violenza e di dolore così grande, né saremo
gli ultimi. Resistiamo come gli Apostoli che dicevano è un onore essere picchiati
per il Signore”. “E’ prematuro vedere in questa crisi un conflitto interreligioso
anche perché in Centrafrica per decenni abbiamo vissuto in totale armonia con i musulmani
(il 10-12% della popolazione, ndr). Abbiamo invitato la gente alla vigilanza e alla
prudenza ma noi, come Chiesa cattolica, continueremo ad adoperarci a favore del dialogo
e della riconciliazione”: lo dice all'agenzia Misna padre Francis Siki, curato della
cattedrale di Bangui, mentre nel Paese continuano violenze e furti della Seleka, a
due mesi dal colpo di stato che lo scorso 24 marzo ha portato al potere l’ex capo
della ribellione, Michel Djotodia. Da allora fonti religiose locali denunciano un’ostilità
dei miliziani nei confronti della Chiesa cattolica e temono che Djotodia cerchi di
instaurare una Repubblica islamica. “E’ vero che i beni della Chiesa sono stati saccheggiati
su vasta scala dai ribelli Seleka mentre quelli dei musulmani sono stati risparmiati.
E’ anche vero che alcuni provvedimenti o dichiarazioni ufficiali sono ambigui e possono
preoccuparci, ma non bisogna cedere ad interpretazioni facili e rischiose” prosegue
l’interlocutore della Misna, che è anche il presidente della Caritas a Bangui. Ma,
per padre Siki, il nodo della questione non riguarda la religione musulmana ma bensì
“la folta presenza nella Seleka di soggetti stranieri, per lo più ciadiani e sudanesi,
che si comportano come conquistatori del Centrafrica, derubando beni di tutti, distruggendo
infrastrutture e sfruttando le risorse”. Fonti della società civile contattate nella
capitale sottolineano che la sfida principale è il ripristino della sicurezza a Bangui
e su tutto il territorio nazionale per consentire alla gente di riprendere regolarmente
le proprie attività. Il primo ministro Nicolas Tiangaye ha avviato consultazioni con
tutte le forze politiche e con esponenti della società civile per formare un governo
di unità nazionale, come chiesto dai Paesi mediatori dell’Africa centrale. “Le questioni
istituzionali - dice un rappresentante locale della società civile - sono polvere
negli occhi. Qui bisogna disarmare i ribelli con l’aiuto di forze esterne. Solo dopo
le nuove autorità potranno mettersi al lavoro e far fronte alle necessità dei centrafricani
sempre più poveri e in balia dei miliziani stranieri”. (R.P.)