Cambogia: migliaia di operai del tessile in piazza per la liberazione di colleghi
arrestati
Il numero e l'intensità delle proteste dei lavoratori cambogiani è "in continuo aumento"
e il malcontento si fa "sempre più evidente e diffuso" rispetto al passato. È quanto
affermano fonti cattoliche dell'agenzia AsiaNews attive nel terzo settore. Il problema
occupazionale, aggiungono, "è molto sentito" e si affianca a quello delle "condizioni
in cui si trovano a operare". Difatti, la "competizione con la Cina" spinge le imprese
a "contenere le spese" e i lavoratori, in molti casi, restano "sotto la soglia di
sopravvivenza". Oggi intanto migliaia di operai - guidati dai sindacati nazionali
- hanno manifestato, chiedendo la liberazione dei colleghi arrestati nei giorni scorsi
e tuttora in stato di fermo senza capi di accusa specifici. Lo scorso 3 giugno otto
persone sono state arrestate, nell'ambito delle manifestazioni di piazza promosse
da oltre 10mila impiegati nel tessile, che chiedono un aumento dei salari e migliori
condizioni di lavoro. A guidare la protesta i dipendenti della compagnia di proprietà
taiwanese Sabrina (Cambodia) Garment Manifacturing, che produce vestiti e calzature
per l'americana Nike. L'industria del tessile è fra le più fiorenti e vitali della
Cambogia, con 650mila occupati e un volume di affari miliardario legato alla produzione
di capi di abbigliamento per le grandi marche occidentali. Ad oggi la magistratura
non ha ancora emesso un capo di accusa specifico nei confronti dei manifestanti fermati;
durante gli scontri seguiti alle dimostrazioni sono rimaste ferite una decina di persone,
fra cui un'operaia incinta che nei tumulti ha perso il bambino. Per questo oggi almeno
3mila persone si sono assembrate davanti ai cancelli del tribunale provinciale di
Kampong Speu, nel sud della Cambogia, chiedendo il rilascio degli arrestati. "Il governo
ha paura delle proteste - afferma Ou Virak - presidente del Cambodian Centre for Human
Rights - perché teme possibili rivolte sociali in vista delle prossime elezioni. Una
sorta di rivolta, sulla falsariga di quanto avvenuto nei Paesi arabi o in Turchia".
Egli aggiunge però che la politica del pugno di ferro "causerà ulteriore risentimento".
(R.P.)