2013-06-03 14:41:53

Tre anni fa moriva mons. Padovese. Padre Martinelli: ha amato con la forza dei fatti


Il 3 giugno di tre anni fa, veniva ucciso mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia. A colpirlo a morte il suo autista turco. Mons. Padovese viene ricordato come una delle figure martiri, che hanno dato la vita per la missione in Turchia, insieme con don Andrea Santoro, missionario fidei donum ucciso nel 2006. Per ricordare mons. Padovese Fausta Speranza ha intervistato padre Paolo Martinelli, preside dell’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum:RealAudioMP3

R. – Una presenza attenta ai cristiani, attenta al dialogo interreligioso molto rispettoso, all’attività ecumenica, penso soprattutto con i nostri fratelli ortodossi. Poi, questa testimonianza di fede, una fede che viene comunicata non per una forza dialettica ma proprio con l’impegno della propria vita: ecco, lo stare in questi luoghi, condividere la vita quotidiana delle persone.

D. – Mons. Padovese era una studioso di Patristica. La maggior parte degli scritti che ci ha lasciato riguarda i padri della Chiesa, i primi secoli del cristianesimo. Anche questo è un patrimonio che ci lascia?

R. – Lui certamente è stato innanzitutto un grande patrologo, uno studioso della spiritualità patristica. Ancora nei tempi in cui lui era studente si recava in Turchia proprio per studiare questa terra come terra santa della Chiesa, laddove per la prima volta – come ricordano gli Atti degli Apostoli – i cristiani vengono chiamati cristiani ad Antiochia. Credo che lui abbia potuto lavorare negli anni della sua presenza in Anatolia proprio riconoscendo in essa la terra che custodisce la memoria delle prime comunità cristiane fuori dalla Palestina. Ha saputo valorizzare questo come un patrimonio innanzitutto per la vita della fede, per la Chiesa, ma poi come valore culturale in sé: cioè, riscoprire questa profondità della terra di Anatolia, della terra di Turchia, come terra che conserva la memoria cristiana.

D. – Si parla molto di tradurre in lingua turca gli scritti di mons. Padovese: che ne pensa?

R. – Credo sarebbe una cosa molto bella. Da parte nostra, stiamo cercando di far conoscere sempre di più in Italia le sue opere, anche perché ci sono molti inediti soprattutto degli ultimi anni e mons. Padovese aveva fatto molte conferenze intorno all’idea dell’Anno Paolino e anche negli ultimi tempi avevano insistito molto sull’idea della libertà religiosa come elemento essenziale di un confronto sereno tra persone, popoli, che appartengono a religioni diverse. Penso anche in particolare agli studi sui padri della Chiesa che hanno vissuto in terra d’Anatolia, in Cappadocia, in Turchia, proprio perché è un contributo a far conoscere le radici di quella terra. Credo che la conoscenza delle sue opere sarebbe un bel contributo al rapporto e al dialogo interreligioso.

D. – Le posso chiedere in pochissime parole un ricordo personale?

R. – Ci conoscevamo da tantissimo tempo, perché noi venivamo dalla stessa parrocchia di origine di Milano. Anzi, io arrivo proprio adesso da Milano perché ieri sera abbiamo fatto un momento commemorativo nella sua parrocchia, nella Santissima Trinità. Devo dire che è una presenza che mi ha sempre accompagnato. Poi, non solo, lui è stato anche mio formatore, mio professore, e poi a Roma abbiamo lavorato insieme all’Istituto francescano di spiritualità della Pontificia Università dell'Antonianum. Quando lui è diventato vescovo in Turchia, siamo sempre rimasti molto in rapporto e devo dire che per me vederlo così dedicato ai pochi cristiani sparsi in quella immensa terra, mi ha sempre dato una profonda commozione e proprio lì mi sono reso conto ancora di più di chi lui fosse, nonostante lo conoscessi da 40 anni. In quegli anni, dal 2004 al 2010, come pastore dei cristiani di quella terra ha fatto vedere come nel suo cuore ci fosse una grande carità pastorale e tutti i suoi studi – perché di fatto è stato anche un grande studioso – si sono come riversati in un amore per quel popolo. Questo è veramente il ricordo per me più profondo che ho della sua persona.







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