Nuove proteste antigovernative in Turchia. Oltre mille feriti, 1700 gli arresti a
Istanbul e Ankara
In Turchia, dopo Istanbul, la protesta arriva nella capitale Ankara, dove centinaia
di persone sono scese in piazza contro il governo di Erdogan e l’islamizzazione della
politica. “Non sono un dittatore – ha detto il premier – il mio mestiere è servire
il popolo”. Ma intanto è polemica per le misure eccessive delle forze dell’ordine
che anche ieri hanno fatto uso di lacrimogeni. Cecilia Seppia:
Dopo Istanbul,
epicentro della protesta dei cittadini turchi oggi è la capitare Ankara, dove migliaia
di persone sono scese in strada contro l’islamizzazione della politica e per chiedere
le dimissioni del premier Erdogan. Anche qui, la polizia si è lanciata in una serie
di violente cariche e ha fatto uso di lacrimogeni, per fermare l’avanzata della folla
verso la sede del governo. Ad Istanbul invece si respira una calma precaria dopo il
ritiro degli agenti da piazza Taksim. Il bilancio degli scontri di ieri, secondo Amnesty
International è di un migliaio di feriti, non confermate invece le due vittime. Più
di 1700 le persone finite in manette. La rivolta qui è iniziata qualche giorno fa
contro la distruzione di Gezi Park e l’abbattimento di più di 600 alberi per far spazio
ad una caserma dell’esercito. Il premier Erdogan che aveva ammesso gli eccessi della
polizia, in un discorso alla nazione ha detto di "non essere un dittatore e che il
suo mestiere è servire il popolo", quindi ha assicurato che su Gezi Park non c’è ancora
nulla di definitivo. In serata il ministro degi esteri Davoutoglu ha ammonito: "basta
con queste proteste, non portano alcun beneficio anzi danneggeranno la reputazione
del nostro Paese nel mondo".
Ma quanto le proteste di piazza mettono a rischio
la tenuta dell’esecutivo? Davide Maggiore lo ha chiesto a Fabio Grassi,
ricercatore in Storia dell’Europa Orientale presso l’Università “La Sapienza” di Roma:
R. - Non a breve
termine: non è che abitualmente le proteste, per quanto imponenti, facciano cadere
i governi. Certamente possono produrre - come mi sembra stia avvenendo - un certo
ripensamento, una modifica di atteggiamento.
D. - Qual è la natura di queste
proteste? Si tratta di un movimento paragonabile alle primavere arabe che hanno attraversato
altri Paesi della regione?
R. - Non vedo una grande somiglianza con questi
movimenti. Nel caso delle primavere arabe c’era una profonda spinta di insofferenza,
di ribellione contro regimi elitari e spesso militari. Qui il segno è contrario: è
una ribellione, è un segnale di forte insofferenza da parte della Turchia laica contro
un governo, in cui la spinta verso certe forme di tradizionalismo si è fatta piuttosto
forte. Ora la protesta è contro la riorganizzazione di una delle piazze più importanti
di Istanbul, centro nevralgico della Istanbul più europea. Ma, pochi giorni fa, c’era
stata una dichiarazione molto dura di Erdogan contro il consumo di alcolici…
D.
- Quindi quali sono le forze in gioco in questo confronto che, adesso, ha raggiunto
le piazze?
R. - Da una parte, il governo e il suo grande seguito popolare che,
nell’Anatolia profonda, permane ampio, e - dall’altra - un'opposizione in cui confluiscono
il vecchio gruppo sociale fortemente ancorato al kemalismo e uno strato di Turchia
laica che - a suo tempo - aveva criticato l’autoritarismo kemalista.
D. - E’
possibile che quanto sta accedendo ora abbia delle ripercussioni a livello elettorale?
E’ ipotizzabile un arretramento del partito di Erdogan?
R. - Una piccola flessione
del partito di Erdogan è possibile, una sostanziale modifica dei rapporti di forza
non mi sembra molto probabile.