Disoccupazione in Italia, Acli: rilanciare piano industriale e welfare. Storico accordo
sindacati-Confindustria
Ancora dati allarmanti sul lavoro in Italia: secondo la Cgil ci vorranno 13 anni per
tornare al livello del Pil del 2007, 63 per recuperare i livelli occupazionali pre-crisi.
Lo denuncia la Cgil che, insieme a Cisl e Uil, ha firmato con la Confindustria uno
storico accordo sulla rappresentanza per mettere fine alla stagione degli accordi
separati. “Un ottima notizia, premessa per rilanciare un piano industriale di cui
l’Italia ha urgente bisogno”, commenta il presidente delle Acli Gianni Bottalico.
Paolo Ondarza lo ha intervistato:
R. - Il fatto
che Confindustria e sindacati abbiano siglato questo accordo è un segnale di grande
responsabilità e quindi siamo estremamente contenti. E’ la condizione perché ci si
metta intorno a un tavolo, perché l’esigenza di questo Paese è quella di lanciare
un grande piano industriale di rilancio per il Paese.
D. - Che la crisi sia
grave ce lo confermano anche i dati diffusi dalla Cgil, secondo i quali se il Paese
intercettasse la ripresa ci vorrebbero comunque 13 anni per tornare al Pil del 2007
e addirittura 63 per tornare ai livelli di occupazione precedenti la crisi…
R.
- Guardi, al di là del dato che possiamo anche discutere, comunque c’è questa tendenza
ed è una tendenza preoccupante. Da una parte, noi dobbiamo rilanciare un grande piano
industriale per questo Paese, per il rilancio e per la ripresa del lavoro che non
c’è - perché questo è il vero tema! - e, dall’altra, accanto ad un piano industriale
anche un grande piano di rivisitazione di un nuovo modello di welfare, perché abbiamo
bisogno di tenere insieme questo Paese.
D. - Rilanciare un piano industriale
significa anche tener conto della competitività con quei Paesi - ad esempio asiatici
- dove il lavoro costa molto meno e quindi i prodotti che ci giungono sono sicuramente
di più facile accesso, più vantaggiosi?
R. - Assolutamente sì! Noi abbiamo
rilanciato, in questi giorni, il tema della competitività e della giusta competitività.
E’ difficile immaginare che ci possa essere una giusta ed equa competitività tra chi
sfrutta il lavoro e chi rispetta il lavoro; tra chi rispetta l’ambiente e chi, invece,
non rispetta l’ambiente. Perché non tassare i prodotti che importiamo da questi Paesi
che non rispettano alcune di queste caratteristiche? Ripeto: il rispetto degli orari
di lavoro, il giusto salario e la giusta paga, il rispetto dell’ambiente. Tassare
questi prodotti potrebbe essere un’azione politica molto forte, accrescere una consapevolezza
da parte dei consumatori e soprattutto credo anche che possa servire per lanciare
in Europa e nel mondo la questione della giusta concorrenza. Quindi è giusto che tutti
ambiscano a giusti diritti e non che tutti si vada verso la penalizzazione dei diritti.
D. - E’ un discorso che non solo, quindi, tutela il lavoro in Italia - ma
che intercetta anche la difesa dei diritti umani. Se pensiamo che nelle ultime ore
è giunta dalla Cina, da parte di un’organizzazione (la China Labor Watch che ha sede
negli Stati Uniti) che si batte per la difesa dei diritti umani, la notizia di un
ragazzino di 14 anni morto mentre lavorava in una fabbrica, dove gli operai sono sottoposti
a turni minimi di 12 ore, con la possibilità di straordinari fino ad altre dodici
ore…
R. - Vede, questo ci deve indignare e deve indignare particolarmente i
cattolici. Io ho sempre davanti le nostre Encicliche e credo che da Papa Wojtyla a
Papa Ratzinger e oggi a Papa Francesco ci abbiamo tutti spronato e ci spronino a questa
responsabilità: recuperare la dignità del lavoro, la centralità della persona umana.
Quindi noi abbiamo la responsabilità politica di agire, perché queste cose non avvengano
più.
D. - Il consumatore chiaramente è allettato da un prodotto che costa poco.
il consumo critico può non essere sufficiente?
R. - Non è sufficiente, perché
bisogna considerare che Paesi come l’Italia si stanno impoverendo e i prodotti a basso
costo allettano sempre più persone. Allora la domanda è: ma noi alimentiamo il mercato
dello sfruttamento o prendiamo un’azione politica precisa? Io dico, da cattolici,
non possiamo non far sì che le persone non accedano ad alcuni prodotti, ma dall’altra
non possiamo neanche immaginare che possiamo calpestare i diritti solo perché così
riusciamo a fornire prodotti a basso costo alla popolazione. C’è questo rischio di
contraddizione sul quale dobbiamo stare molto attenti.