2013-05-31 14:18:24

Myanmar: accordo di pace del governo con i ribelli Kachin


Va avanti il processo di democratizzazione in Myanmar. Il governo centrale e i ribelli Kachin, attivi nel nord del Paese, hanno raggiunto nei giorni scorsi l’accordo per un cessate il fuoco provvisorio. L’intesa fa ben sperare in una stabilizzazione dei rapporti anche con altre etnie, con le quali l’ex regime militare era in conflitto. Anche la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, si è dichiarata favorevole a una fine delle tensioni. I cattolici Kachin hanno espresso, a loro volta, un cauto ottimismo per l’intesa. Ma si può parlare realmente di svolta positiva? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Stefano Vecchia, esperto di Estremo Oriente:RealAudioMP3

R. – Indubbiamente sì. Teniamo presente che le milizie del Kachin sono quelle più forti tra quelle che sono ancora nella condizione di guerriglia aperta con il governo. Quindi, certamente è un accordo importante. Bisognerà vedere, però, se la tregua reggerà: questo è particolarmente decisivo in questo momento in cui il Paese è appunto avviato verso una democrazia - ancora estremamente parziale - ed in cui purtroppo, in molte zone, si registrano anche scontri tra i buddisti e i birmani di fede musulmana. Questo è un ulteriore elemento che prima non si era riscontrato e che purtroppo in questi ultimi mesi invece è tornato alla ribalta; tant’è vero che anche Aung San Suu Kyi, leader storico dell’opposizione, ha preso una posizione di condanna rispetto alle violenze di sostegno al dialogo in particolare con le etnie finora tenute al di fuori di questo processo di liberalizzazione e di democratizzazione.

D. – Quali sono le istanze di queste etnie nei confronti del governo ex birmano?

R. – Certamente di maggiore autonomia, ma soprattutto di maggiore sicurezza. Teniamo presente che le milizie etniche hanno combattuto per decenni contro l’esercito birmano, che ha sempre cercato in qualche modo di sottometterle, riuscendoci soltanto in parte; anni fa il governo è riuscito a concludere degli accordi separati con alcune di queste e con altre invece la tensione continuava con periodici scoppi di violenza. Le etnie hanno subito pesantemente il predominio birmano e hanno vissuto innumerevoli episodi di violenza. La repressione è sempre stata estremamente brutale. Quindi, già il fatto che il dialogo si sia attivato in sé è positivo.

D. – Qual è l’atteggiamento del governo del Myanmar? E’ un atteggiamento di inclusione o, comunque, rimane di confronto?

R. – In questo momento, il tentativo è quello dell’inclusione. Teniamo presente che il Paese si è trasformato da una dittatura sostanzialmente militare ad una repubblica federale con un parlamento, un governo, quindi diciamo con una parvenza di democrazia. Il governo funziona, il parlamento sta funzionando e nel parlamento sono anche rappresentate le etnie, se pur con personaggi chiaramente vicini all’esecutivo. Da sottolineare che il governo stesso poi è erede del regime militare. È un processo lento che però si è avviato, che probabilmente prenderà slancio ancor di più in vista delle elezioni del 2015, quando Aung San Suu Kyi potrebbe addirittura diventare presidente. Questo sarà veramente il momento della svolta per la democrazia birmana. Per il momento il tentativo è quello di includere le etnie in un dialogo.







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