Congo: appello dei vescovi a Stato e comunità internazionale per le violenze nel Kivu
“Le popolazioni dell’est della Repubblica Democratica del Congo (Rdc) hanno in bocca
il gusto amaro di appartenere a comunità spogliate, violentate, abusate, umiliate
e abbandonate dal loro Stato e guardate da lontano dalla comunità internazionale”
denunciano i vescovi della Provincia ecclesiastica del Kivu (est della Rdc) nel messaggio
pubblicato al termine della loro Assemblea ordinaria, tenutasi la scorsa settimana.
Il messaggio è stato presentato in una conferenza stampa da mons. Melchisédech Sikuli
Paluku, vescovo di Butembo-Beni. La provincia del Nord Kivu vive da più di 20 anni
nell’instabilità per la presenza di diversi gruppi armati che depredano le immense
risorse naturali dell’area a spese della popolazione civile, costretta a subire violenze
e angherie di ogni tipo. Il più importante di questi gruppi è l’M23, che dicono i
vescovi, è un “prolungamento” di sigle precedenti ed è responsabile “di omicidi, di
stupri oltre che del considerevole sfollamento delle popolazioni che si recano nei
campi dove non sono però al riparo dagli aggressori”. Oltre all’M23 nel messaggio
si denunciano “la molteplicità di gruppi e bande armate che la fanno da padroni nelle
aree dove il potere e l’autorità dello Stato sono assenti”. All’assenza dello Stato
si aggiunge l’impotenza della Monusco (la forza di stabilizzazione Onu nella Rdc)
che, affermano i vescovi, pur dotata “di risorse umane e materiali consistenti” sembra
essere “appena sbarcata” nell’area. La Momusco (nata nel 2010 sulla base della precedente
Monuc, ha dispiegato nella Rdc oltre 22.000 uomini, dei quali circa 19.000 sono militari
armati. È in corso di dispiegamento una brigata di intervento per rafforzare la capacità
militare delle truppe Onu. Per riportare la pace nel Kivu i vescovi fanno appello
ai politici perché “garantiscano la sovranità nazionale”, ai leader delle comunità
locali perché “evitino di amplificare e legittimare la violenza” e alla comunità internazionale
perché “le operazioni militari internazionali siano più precise ed efficaci” prendendo
ad esempio l’operazione Artemis del 2006 nella stessa Rdc e l’operazione Serval nel
nord del Mali. (R.P.)