Oltre 50 morti negli attentati in Iraq: più di 500 nel mese di maggio
Iraq ancora sconvolto da attacchi dinamitardi, l’ultimo ieri sera a Baghdad. Una giornata
di sangue con oltre 50 morti tra di loro diversi pellegrini sciiti. Sale così a 530
il numero delle persone uccise soltanto a maggio. Il premier Al Maliki ha parlato
“di un ritorno ai giorni più bui del Paese” ed ha promesso il pugno di ferro contro
i responsabili. Cecilia Seppia ha sentito Francesca Manfroni, giornalista
di Osservatorio per l’Iraq:
R. – Ormai,
in Iraq ogni mese è diventato un record, nel senso che già aprile era stato dichiarato
come mese più sanguinoso del 2013, senza contare che, recentemente, uno studio molto
importante ha certificato che quello iracheno sia stato il conflitto più sanguinoso
del secolo. A ogni soldato ucciso, infatti, sono corrisposti 24 civili morti. Non
ci stupisce, quindi, questa dinamica. Dinamica che, ovviamente, sta assomigliando
sempre di più a quella del famoso biennio di sangue 2006-2007, dove morivano una media
di mille persone al mese.
D. – Infatti, questo improvviso picco di sangue riporta
proprio agli sconvolgimenti degli ultimi dieci anni, prima del ritiro delle truppe
americane. C’è il rischio, di una guerra civile?
R. – Il rischio di una guerra
civile è alle porte da tantissimo. Ovviamente, con il 2012, il trend delle vittime
è cambiato. Fino al 2012 c’era stato un trend di minori morti al mese, poi dal 2012
tutto cambia. E questo fa presupporre che, ovviamente, la crisi siriana abbia travalicato
i confini e sia entrata in un conflitto iracheno già esplosivo, per via di tutta una
serie di errori - commessi a partire dall’inizio dell’invasione del Paese, dall’occupazione
anche americana che ne è seguita - e che oggi si scontano.
D. – All’origine
di questa violenza, c’è comunque l’eterna faida tra sunniti e sciiti, una guerra che
ha tante connotazioni non soltanto quella religiosa, interetnica...
R. – Assolutamente.
La chiamerei più che altro una faida per il potere, nel senso che qui la religione
e le differenze religiose c’entrano abbastanza poco. In questo caso, è una questione
di equilibri internazionali più grandi, che vedono i soliti noti – Stati Uniti d’America
e Iran in primis – darsi battaglia su diversi campi. L’Iraq è stato il terreno di
battaglia preferito in questi ultimi dieci anni. Adesso, nel vortice è entrata anche
la Siria e ovviamente l’Iraq – che è il Paese "passepartout", in questo contesto,
anche geograficamente oltre che politicamente – ne risente ampiamente.
D.
– E’ vero anche che i più colpiti sono proprio gli sciiti, i quartieri sciiti di Baghdad,
di Kirkuk, di Mosul, oppure i pellegrini sciiti che vengono, per esempio, dall’Iran.
Ricordiamo anche che il premier Al Maliki è sciita. Quindi, una lotta anche di chi
si contrappone al potere di Al Maliki...
R. – Assolutamente sì. Ricordiamo
che Al Maliki, da più parti, non solo dentro l’Iraq, ma anche fuori dell’Iraq, a livello
internazionale, ormai è additato come nuovo dittatore. E’ un uomo che ha consolidato
il suo potere a forza di mettere i suoi uomini di fiducia ai vertici di ogni istituzione
importante che governa oggi l’Iraq. E ricordiamoci che Al Maliki, sciita, ha comunque
dei problemi serissimi all’interno del fronte sciita stesso, con Moktada al-Sadr,
che ricordiamo tutti essere il famoso leader che governava l’esercito del Mahdi, all’epoca
della guerriglia contro gli Stati Uniti, che è assolutamente un dissidente, rispetto
alla linea politica di Maliki, così come il partito più legato all’Iran si contrappone
molto spesso al suo tentativo di imporre un potere assoluto come quello poi che fu
di Saddam. Semplicemente, adesso sono cambiati gli equilibri: adesso, ci sono gli
sciiti e prima c’erano i sunniti al potere. Succede anche che, comunque, vi sia una
marginalizzazione della componente sunnita al potere, che è assolutamente devastante.
D.
– Al Maliki ha promesso tra l’altro, nei giorni scorsi, un cambio della strategia
della sicurezza e oggi ha ribadito che saranno puniti tutti i miliziani, indipendentemente
dalla loro appartenenza politica o religiosa. Quindi, da una lato c’è la volontà di
fare giustizia, dall’altro quella di una lotta alla corruzione. Sembrano però più
“slogan propagandistici” rispetto a quello che stai le sta affermando sulla sua figura...
R.
– Esattamente. Sono solo slogan, perché chi comanda la sicurezza oggi sono persone
assolutamente imposte da Maliki, per cui è lui che scredita se stesso, sostanzialmente.
E perché, oltretutto, la mappatura geografica di questi attentati riguarda delle situazioni,
delle regioni, ben precise, che celano dei motivi politici ben precisi. Ricordiamoci
che ancora non è stata decisa la sorte degli immensi giacimenti, che sono nella zona
di Kirkuk e Mosul, e non a caso tanti degli attentati riguardano quella zona.