Referendum a Bologna: vince il no a fondi pubblici per scuole paritarie, ma vota solo
il 28%
Un risultato controverso quello uscito doìmenica a Bologna dalle urne del Referendum
consultivo sui fondi comunali – 1 milione di euro - per le scuole private dell’infanzia.
Consultazione costata oltre mezzo milione di euro. Sia il fronte promotore dell’opzione
A che chiede di eliminare questi fondi che il fronte dell’opzione B che difende il
finanziamento si dicono in qualche modo soddisfatti: il 59% dei votanti ha scelto
A il 41% B. Roberta Gisotti ha intervistato Rossano Rossi, presidente
della Fism, la Federazione italiana scuole materne, in prima fila nella difesa del
sistema pubblico integrato:
R. – Il primo
dato è l’affluenza: hanno votato meno di 3 cittadini su 10. L’affluenza si è attestata
sul 28%, la più bassa in assoluto registrata da questo tipo di referendum consultivo
nel nostro Comune: il 72% dei cittadini non è andato a votare. All’interno di quel
28% l’affermazione della A è stata netta: 59% contro 41% che ha votato B. Qui parliamo,
però, di 50 mila cittadini, che sul complessivo mi dà meno del 16 per cento. Questo
per dire cosa? Che il referendum era consultivo e probabilmente non ha appassionato
in gran parte la città di Bologna, vuoi anche perché il referendum tendendo a radicalizzare
le posizioni e quindi a semplificarle in maniera anche un po’ ideologica, ha lasciato
a casa parecchie persone. Noi personalmente siamo dispiaciuti di questa scarsa partecipazione,
soprattutto per la nostra opzione: abbiamo raccolto 35 mila cittadini che hanno detto
che questo sistema va bene. Noi abbiamo lavorato, ci siamo impegnati, abbiamo messo
in campo diverse personalità della città di Bologna proprio per fare in modo che fossero
più cittadini a difendere e a promuovere questo sistema. Questo non è avvenuto: ne
prendiamo atto. A questo punto sarà l’Amministrazione comunale che dovrà decidere
se questo consiglio, che viene dato da 50 mila cittadini bolognesi, ha un peso tale
da mettere in discussione tutto il sistema. Quello che è chiaro, per noi, è che comunque
non si può prescindere dal sistema pubblico integrato: non stiamo parlando di scuole
private, stiamo parlando di scuole paritarie, che hanno una legge alle spalle che
le riconosce come servizio pubblico ed è da questo sistema integrato – composto da
Stato, Comune e privato sociale – che occorre ripartire, anche alla luce di questo
risultato referendario. Non si può dare scuola dell’infanzia a Bologna, come in Emilia
Romagna, come in Italia, senza questa virtuosa collaborazione e integrazione tra pubblico
e privato sociale.
D. – Dottor Rossi, i numeri però sono importanti in democrazia:
perché 50 mila persone, il 16%, dovrebbe avere ragione, appunto, sul resto della popolazione?
R.
- Questo è il dato che noi sottolineiamo. Crediamo che questo 16 per cento sia molto
scarso per dare un peso e dare conseguenze che sarebbero molto negative, perché –
lo ricordiamo – se l’Amministrazione decidesse di ascoltare questi 50 mila, questo
16%, significa che gran parte delle nostre scuole andrebbero in crisi e moltissime
famiglie non avrebbero il posto nella scuola dell’infanzia e andrebbero ad infoltire
le liste d’attesa.
D. – Dottor Rossi, è vero che un sistema pubblico secco,
assoluto, costerebbe di più ai cittadini rispetto al sistema integrato?
R.
– Certo, perché oggi il Comune con quel milione sostiene 27 scuole che accolgono 1.700
bambini, dando sostanzialmente 600 euro a bambino. Questo è il dato attuale. Se dovesse
farsene carico – di questi 1.700 bambini – il Comune o lo Stato, per ognuno di questi,
dovrebbe spendere almeno 6 mila euro. Quindi dieci volte tanto! E’ evidente che questa
cosa non starebbe in piedi, nessuno la potrebbe fare, né il Comune né lo Stato, e
quindi si avrebbe un impoverimento del sistema delle scuole bolognesi.