2013-05-25 08:46:08

Oggi la Beatificazione di don Puglisi: attesi 100mila fedeli


Tutto pronto per la Beatificazione di don Giuseppe Puglisi: attesi 100mila fedeli. La Messa si terrà alle 10.30 al Foro Italico Umberto I di Palermo. Presiederà la celebrazione l’arcivescovo della diocesi palermitana, il cardinale Paolo Romeo, mentre rappresentante del Papa sarà il cardinale Salvatore De Giorgi, arcivescovo emerito di Palermo, che il 15 settembre 1999 diede avvio al suo processo di Beatificazione. Don Giuseppe, o meglio padre Pino Puglisi, è stato un sacerdote diocesano noto per il suo impegno di contrasto alla criminalità organizzata, in particolare occupandosi della formazione di bambini e ragazzi di strada per i quali fondò il "Centro Padre Nostro”. Morì, ucciso dalla mafia, il 15 settembre del 1993, giorno del suo 56.esimo compleanno. Il decreto di Beatificazione di padre Puglisi per martirio "in odio alla fede” è stato promulgato da Papa Benedetto XVI il 28 giugno 2012. Adriana Masotti ha chiesto al cardinale Salvatore De Giorgi che cosa rappresenta proprio per Palermo e la Sicilia l’evento di domani: RealAudioMP3

R. – La Beatificazione come martire della fede di don Pino Puglisi rappresenta anzitutto il dono di Dio più atteso da tutta la Sicilia e non solo. Poi, anche uno splendido e stimolante messaggio di fede per tutti nell’Anno della Fede. Il riconoscimento ufficiale del suo martirio da parte della Chiesa è anche il sigillo della perenne autorità del suo messaggio, che con la voce del sangue invita tutti al coraggio, alla coerenza, alla fortezza, alla santa audacia nell’esercizio sia del ministero sacerdotale, come di ogni altro servizio nella Chiesa, per il trionfo delle forze del bene su tutte le aggressioni e le perversioni del male, soprattutto se, come quello mafioso, agisce da perversa struttura di peccato anti-umana ed anti-evangelica, tanto più subdola e pericolosa, quanto più si ammanta e si circonda di segni e di riferimenti religiosi.

D. – Con questa Beatificazione la Chiesa invia un messaggio chiaro: potrà essere dunque uno stimolo, o meglio un sostegno, a quanti anche oggi si impegnano nella lotta alla mafia?

R. – A 20 anni dalla sua sacrilega uccisione, don Puglisi parla ancora. Don Puglisi si rivolge anzitutto a noi, i suoi confratelli, per ricordarci che il nostro ministero, come d'altronde la vita di ogni cristiano, è ogni giorno per sua natura vocazione al martirio. Ci ripete che il nostro primo dovere è l’annuncio del Vangelo per aiutare i fratelli a seguire Cristo e quindi a vivere onestamente nell’osservanza dei suoi Comandamenti, per formare le coscienze al rispetto delle persone, all’amore vicendevole, al gusto della solidarietà, al senso della legalità, alla capacità del perdono, a vincere così ogni forma di prepotenza, di violenza, di sopruso, di collaborazione con il crimine. Queste sono piaghe antiche che ancora non si riescono a sanare, soprattutto dove il degrado ambientale e morale è maggiore. Ma la voce di don Pino giunge a tutti i cristiani per ricordare che oggi la testimonianza del Vangelo è necessaria come non mai. La sua voce giunge particolarmente ai genitori perché educhino al bene i propri figli, esposti in particolare oggi alle suggestioni della droga, dell’alcol e - anche soprattutto in certe zone - alla dispersione scolastica, alle peggiori forme di sfruttamento sociale, a violenze sessuali e ai tentacoli della malavita diffusa e organizzata. La sua voce giunge a quanti hanno responsabilità politiche e amministrative, perché abbiano sempre più a cuore la soluzione dei problemi dei quartieri più a rischio, come chiedeva don Pino per il suo quartiere Brancaccio, dove purtroppo i suoi sogni non sono stati ancora del tutto realizzati. La sua voce giunge infine anche – e direi soprattutto – ai criminali per ricordare loro che egli con Gesù ha versato il suo sangue per la loro conversione, per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato. Il sorriso con il quale don Puglisi ha detto al suo killer: “Me lo aspettavo” è un invito a tornare decisamente a Dio, che nella sua misericordia infinita li aspetta come il Padre della parabola evangelica.

D. – Don Puglisi è riconosciuto martire in odio alla fede. Quale legame c’è stato nella vita di don Puglisi tra la sua adesione al Vangelo e il suo impegno a sottrarre alla criminalità organizzata i giovani della sua parrocchia?

R. – Don Puglisi è stato ucciso perché sacerdote, perché sacerdote coerente e fedele secondo il cuore di Dio, perché impegnato nell’annuncio del Vangelo e nel suo dovere di educatore soprattutto dei giovani. Don Puglisi è stato ucciso perché con la sua silenziosa ma efficace azione pastorale, sottraeva le nuove generazioni alle suggestioni del male. L’odio al suo zelo pastorale, alla sua opera di evangelizzazione, di formazione delle coscienze, è stato appunto la testimonianza del vero sacerdozio, del vero ministero sacerdotale. L’odio al suo zelo pastorale non è semplicemente l’odio verso un sacerdote, è l’odio a Cristo, alla Chiesa, al Vangelo. E per questo è stato riconosciuto come martire della fede. Don Puglisi è andato incontro alla morte con gli occhi aperti per essere fedele al suo ministero di sacerdote. E lì, ha realizzato quella coraggiosa testimonianza cristiana di cui aveva parlato Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento: “La vera forza in grado di vincere queste tendenze distruttive sgorga dalla fede”. Così è stato don Puglisi. Così è riconosciuto dalla Chiesa.

Sul significato di questa Beatificazione, ascoltiamo - al microfono di Manuella Affejee - don Alessandro Maria Minutella, parroco a S. Giovanni Bosco, la parrocchia dove don Puglisi mosse i primi passi:RealAudioMP3

R. – Credo che la Beatificazione servirà a indicarlo ancor di più come modello e non solo per la Chiesa di Palermo, giacché don Pino - e questo mi pare importante che venga sottolineato - non è stato un prete antimafia, ma è stato un prete che ha incarnato il Vangelo contro quelle che Von Balthasar chiamava le “forze anticristiche del male”, che possono essere mafia o qualunque altro forma che il male incarna nella storia del mondo. Ecco perché lo si può chiamare martire: perché è stato ucciso in “odium fidei” e quindi è un modello da presentare non solo per i preti di Palermo, per la Chiesa di Palermo e della Sicilia, ma penso che ovunque possa essere un modello da imitare, come tutti i martiri. Poi, penso sarete informati del fatto la riesumazione del corpo ha dimostrato che il corpo pressoché intatto: quindi questo è anche un segno molto bello. I suoi resti mortali adesso si trovano nella cattedrale di Palermo e c’è un’attesa molto forte per questa celebrazione, che farà fatta sabato sul lungomare di Palermo.
D. – In che modo, oggi la Chiesa può impegnarsi contro la mafia?

R. – Don Puglisi amava ripetere un’espressione che è diventata un simbolo: “E se ognuno fa qualcosa, allora tutto può cambiare!”. La mafia molte volte vive di quel retroterra culturale che è fatto di immobilismo, fatalismo… Lui spingeva invece verso una cultura dell’impegno collettivo, alla ricerca del bene comune. E questo alla luce dei valori del Vangelo.

D. – Ci sono ancora dei religiosi, dei preti minacciati, o no?

R. – Non ci risulta, per quanto ne sappiamo, che vi siano casi eclatanti di minacce specifiche. Tuttavia, è chiaro che sia una frontiera pastorale che i preti, soprattutto delle zone periferiche, delle zone più a rischio, conoscono molto bene. In questo senso, don Pino può diventare un modello, un esempio, uno sprone ad andare avanti. Diceva Santa Teresa di Lisieux: “Tutti gli eroi valgono meno di un solo martire”.

D. – Vorrei sapere qual è la sua azione pastorale in questo quartiere di Palermo?

R. – Io sono parroco di questa parrocchia dove don Pino è cresciuto, dove ha mosso i primi passi, ed era anche nella zona dove lui abitava, dove aveva questo piccolo appartamento davanti al quale, proprio all’ingresso di casa sua, è stato ucciso. La parrocchia è una parrocchia eterogenea: ci sono varie condizioni sociali. Si cerca di portare avanti una pastorale che metta in primo luogo il primato di Dio, perché la civiltà cristiana è anche la civiltà che costruisce l’uomo nella sua integralità e nella sua interezza. Questo sforzo che don Pino metteva in atto è anche quello che tentiamo di fare qui noi.

D. – Padre Puglisi aveva creato un centro per i giovani, il "Centro Padre Nostro": quali sono i frutti di questo centro?

R. – Intanto, ha voluto chiamarlo così proprio in riferimento all’amore del Padre, un tema che in questo momento Papa Francesco sottolinea molto, anche perché Papa Francesco parlava qualche tempo fa di una "classe media" della santità, di cui tutti possiamo far parte. Don Pino è stato capace di incarnare – potremmo dire – questo ceto medio della santità nel territorio, dove lui operava: ha lavorato per i più giovani, per i ragazzi che stavano per la strada, cercando di inculcare in loro l’amore per la vita, l’amore per i valori e quindi anche l’amore, in ultima istanza, per il Vangelo.

D. – E questo funziona? I giovani sono sensibili a questo messaggio?

R. – Bisogna sempre lottare e faticare. In questo senso è importante anche raccogliere l’eredità impegnativa che don Pino lascia: la sua è una testimonianza che è una cifra dell’amore che scaturisce dal cuore. Ecco, don Pino si è impegnato a portare questa splendida luce del Vangelo sempre attuale, in una delle periferie del mondo. E Papa Francesco ha sottolineato questa attenzione alle periferie e quindi mi piacerebbe pensare proprio che la sua testimonianza aiuti tutti i preti come me e come gli altri che sono impegnati nelle periferie del mondo a non lasciarci prendere dell’endemico virus del disfattismo, della contrazione del lamento, della piaga del fatalismo, ma a lottare con fiducia, con gioia, sapendo che Cristo ha vinto.








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