Usa: i vescovi sollevano dubbi morali sull’uso dei droni
I vescovi statunitensi mettono in guardia contro l’impiego indiscriminato dei droni,
gli aerei senza pilota impiegati dalle forze armate americane per eliminare sospetti
terroristi anche in territori non in guerra, e invitano a riflettere sulle sue implicazioni
morali. Come è noto, l'uso di droni è aumentato in modo esponenziale, specie nella
guerra in Afghanistan e l'Amministrazione Obama ha intensificato gli attacchi, in
particolare in Pakistan e in Yemen. Un’escalation che ha suscitato proteste anche
ufficiali per l’alto numero di civili uccisi, quasi un migliaio in Pakistan nel solo
2010. In una lettera indirizzata al consulente per la sicurezza nazionale Thomas E.
Donilon e ai presidenti di diverse commissioni del Congresso, il responsabile della
Commissione episcopale per la giustizia e la pace, mons. Richard E. Pates, chiede
di inserire il ricorso ai droni in un quadro normativo certo. Senza nulla togliere
al diritto degli Stati Uniti di difendersi da un pericolo reale come quello rappresentato
da al-Qaeda, mons. Pates evidenzia, tuttavia, che nella lotta al terrorismo l’Amministrazione
americana dovrebbe privilegiare l’impiego di “strumenti non militari per costruire
la pace attraverso il rispetto dei diritti umani e affrontando quelle ingiustizie
che i terroristi strumentalizzano senza scrupoli”. La missiva mette quindi in guardia
contro l’abuso del concetto di “guerra giusta” nella lotta al terrorismo: “Non ogni
attacco di Al-Qaeda giustifica una guerra e non ogni uso della forza come difesa è
una guerra”. Anche alla luce dei precisi standard fissati dalla “guerra giusta”, osserva
il presule, l’uso dei droni pone una serie di interrogativi etici, con riferimento
in particolare ai criteri con cui l’Amministrazione americana definisce gli obiettivi
da abbattere che comprendono tutti gli uomini di una certa età quali possibili combattenti.
Criteri troppo generici per escludere il rischio di colpire persone innocenti. A questi
aggiungono i cosiddetti “danni collaterali”, causati da questi attacchi. “Il successo
nella campagna contro il terrorismo – ammonisce la lettera - non può essere misurato
solo dai numeri dei combattenti uccisi”. Citando il Compendio della Dottrina sociale
della Chiesa, mons. Pates ricorda che “la Chiesa insegna che la lotta contro il terrorismo
deve essere sempre condotta nel rispetto dei diritti umani e dei principi dello stato
di diritto” e che “l’uso della forza, anche quando necessario, deve essere accompagnato
da un’analisi coraggiosa e lucida delle ragioni che sono dietro agli attacchi terroristici”.
In mancanza di ciò c’è anche il rischio che le misure contro il terrorismo siano controproducenti
e che alimentino sentimenti anti-americani. La lettera conclude quindi con l’auspicio
che i dubbi sollevati sugli omicidi mirati “possano contribuire all’elaborazione di
una politica contro il terrorismo che sia di più ampio respiro, più morale e più efficace”.
(L.Z.)