Festival del cinema di Cannes: tre film tra passato e presente
Il 66° festival di Cannes si avvia lentamente alla fine. Ancora tre giorni di proiezioni
e poi le varie giurie eleggeranno i vincitori della manifestazione. Nel frattempo
il Concorso Internazionale della Selezione Ufficiale ha proposto tre titoli che in
una maniera o nell’altra affrontano l’evoluzione dei generi cinematografici, con un
occhio al passato e uno alle dinamiche presenti. In “Behind the Candelabra”, rievocazione
di un musicista virtuoso, esuberante ed eccessivo tanto sulla scena quanto nella vita
privata, Steven Soderberg adotta un dispositivo di travestimento che ben si adatta
al personaggio di Liberace e all'epoca che racconta, il passaggio dagli anni 70 agli
80. É un travestimento che si manifesta non solo nell'abbigliamento e nell'estetica
«funk» dei protagonisti, ma anche nell'etica comportamentale della loro doppia vita,
conforme alle regole sociali puritane in pubblico e ampiamente trasgressiva nel privato.
Una sorta di contraddittoria «dolce vita» interrotta bruscamente dall’avvento dell'Aids
che, come una bomba, finisce per squassare il tutto, facendo cadere le maschere, individuali
e sociali. Nei panni di Liberace, Michael Douglas interpreta benissimo un tale travestimento,
giungendo alla perfezione della mimesi. Matt Damon e gli altri attori sono invece
un po’ meno efficaci. Quanto a Soderberg, che ancora una volta annuncia il suo ritiro
dalla scena del cinema, confeziona un film corretto, talvolta ricco di tocchi umoristici,
ma piú spesso malinconico come molti film contemporanei – anche di questa edizione
del Festival - che, non potendo trovare motivi di conforto nel presente, ripiegano
mestamente sul passato. Anche il regista ciadiano Mahamat Saleh Haroun ha uno sguardo
retrospettivo. Il suo film “Griris” non guarda però indietro nel tempo attraverso
la storia che racconta, ambientata nell'Africa contemporanea delle metropoli, vere
«no man’s land» dove ogni legame di famiglia, ogni tradizione ancestrale, ogni rispetto
degli individui è distrutto. Esso guarda al passato trovando il suo dispositivo narrativo
nel modello della "blaxlpoitation". Come in questo genere proletario, nato e diffuso
fra gli afroamericani negli anni 60, l’intreccio di “Grigris” prevede infatti una
ragazza infelice, indotta alla prostituzione, un criminale che controlla il territorio,
provvedendo illegalmente ai bisogni della gente, una polizia pressoché invisibile
e un eroe segnato dalle difficoltà della vita. Anche se poi questo intreccio di genere
si incrocia con la favola africana, con la sua lontana cultura matriarcale, che fa
delle donne le vittime e le salvatrici della coesione sociale. Il film convince per
la messa in scena essenziale del suo regista, per le ambientazioni – da una parte
la città che distrugge i sentimenti e mercifica i corpi, dall’altra il villaggio,
che accoglie generosamente i vinti – per l’interpretazione del protagonista, corpo
segnato dalla poliomelite e al contempo ballerino acrobata straordinario. C'è poi
“La Vie d’Adele” di Abdellatif Kechiche, che si cimenta in una lettura fortemente
contemporanea del melodramma. Articolato su due momenti della vita di una donna, la
fine dell’adolescenza e l’inizio della vita adulta, il film è un’esplorazione della
passione femminile. Adèle legge Marivaux e s’interroga sull’amore. Sente il bisogno
di un sentimento forte e alla fine trova nella sessualità femminile ciò che cerca.
Il film è interpretato da Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. (Da Cannes, Luciano
Barisone)