2013-05-22 15:12:07

Bicentenario wagneriano. Pestelli: "L'uomo al centro del suo teatro innovativo"


Il 22 maggio del 1813, nasceva a Lipsia Richard Wagner. Un genio multiforme, autore di scritti, saggi e opere letterarie di vario genere oltre che di tredici opere teatrali che innovarono la concezione stessa del teatro musicale in Germania e nel mondo. Fu indubbiamente una delle figure più complesse del secolo scorso, che ha incarnato le più forti contraddizioni del Romanticismo tedesco. Ma cosa resta indelebile della sua arte a distanza di 200 anni? Gabriella Ceraso lo ha chiesto al critico e musicologo, Giorgio Pestelli:RealAudioMP3

R. – Una conquista indelebile resta legata al fatto che ha reso il linguaggio musicale ipersensibile, capace di esprimere stati d’animo anche complessi, sottili, ineffabili, cose cioè dell’interiorità mai espresse in musica e che, dopo di lui, hanno avuto un grande seguito. Senza di lui, uno Strauss o un Mahler non sarebbero concepibili e anche, fuori dalla Germania, un Debussy o un Franck, o anche – fuori dalla musica, in pittura, in letteratura – un Baudelaire o un Proust. La prosa di Proust e tutta la concezione del suo grande romanzo ciclico senza la presenza di questo fluire della musica di Wagner sarebbero state diverse.

D. – Lei ha parlato di un fluire e in effetti l'idea di "opera totale" di Wagner è un’idea nuova. Cosa voleva dire?

R. – Un’idea più interiore dello spettacolo, in cui la parola, il canto e la scena, tutte confluissero in un ideale di unità quasi mistica, quasi da rito.

D. – Lei lo definirebbe un autore difficile?

R. – Senza dubbio, è un autore difficile soprattutto da rappresentare, perché ha delle pretese musicali di orchestra, di voci, di fatica di voce e sceniche molto importanti. Per il pubblico è indispensabile, secondo me, sapere cosa questi personaggi dicono, perché Wagner è un grande moralista, è uno che va a fondo nei dialoghi.

D. – Qual era la visione che aveva Wagner dell’umanità e dell’uomo?

R. – Un mondo che nella realtà che lui rappresenta è sempre dominato da questa oscura presenza del male, oscura e misteriosa: non si sa perché c’è il male nel mondo, ma l’uomo è veramente oppresso da questo peso. A questo si contrappone un riscatto lontano o un’illusione suprema, che è quella dell’amore. In tutta la sua opera, poi, c’è questo tema della rinuncia e cioè una concezione della vita in cui solo la rinuncia – la rinuncia all’amore, la rinuncia al potere, all’oro e alla ricchezza – dà un orizzonte ottimista.

D. – Lo trova un autore con contenuti e idee attuali?

R. – Sì, senza dubbio, perchè in Wagner il ricorso a leggende mitiche è una copertura che egli usa per analizzare l’uomo in se stesso. Diceva: “A me interessa quello che è tipicamente umano, l’eternamente umano”. Secondo me, quindi, Wagner è attualissimo, ma bisogna saperlo trattare, nelle regie, negli aspetti giusti.

D. – Un contemporaneo di Wagner – e il bicentenario è anche il suo – è Verdi. La storia li ha sempre un po’ contrapposti. E’ corretto contrapporli? Non hanno veramente niente in comune i due?

R. – I due certamente hanno avuto una carriera parallela, ma venivano da due ambienti molto diversi. In Verdi, c’era una matrice molto più popolare e scriveva opere italiane secondo la ricetta usuale. Resta un musicista in cui il teatro è soprattutto voce. Per Wagner, invece, i personaggi erano immersi nell’orchestra, che rappresentava il cosmo, la vita dell’universo, e i personaggi erano minori. In comune certamente avevano la morale del lavoro e poi, in fondo, in tutti e due il centro del loro teatro era l’uomo, le passioni dell’uomo, la coscienza umana.

D. – C’è qualcuno che trova in comune tra i due anche un ruolo svolto nella costruzione di una certa idea di nazione libera, democratica, nei loro rispettivi Paesi, Germania e Italia...

R. – Per Verdi, si può dire senz’altro che sia così. Ha rappresentato l’identità della coscienza italiana nel suo diventare nazione. Per Wagner non direi: Wagner era più un anarchico e nella sua concezione teatrale si è tenuto al di fuori della politica Che poi la nazione tedesca e, peggio ancora, l’epoca del nazismo abbiano usato la sua musica per i loro fini propagandistici, è un altro discorso.







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